"LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO", ALCUNI PARERI SU UN FILM DIVENTATO DI CULTO.

 RICORDANDO GIANNI CAVINA.

Questi ultimi anni non sono stati certo benevoli con il Cinema italiano e nemmeno con il mondo dello spettacolo in senso generale. Non parlo per l'ennesima volta delle restrizioni causate dal Covid o della perennemente richiamata crisi del settore anche se, secondo me, in queste ultime annate abbiamo assistito ad una piccola rinascita della cinematografia di genere e con alcune produzioni di un certo rilievo che, magari non avranno convinto proprio tutti, come The Nest o Lo Chiamavano Jeeg Robot oppure lo stesso Il Signor Diavolo, tre film apprezzatissimi dal sottoscritto).. Stavolta intendo esprimere altri concetti, una cosa fisiologica forse, ma che però per i vecchi appassionati come il Buon Vecchio Zio Nick è devastante è stato l'assistere alla scomparsa di tanti attori ed attrici delle vecchie generazioni, nomi che hanno fatto la Storia letteralmente del mondo del Cinema, della Televisione, del Teatro italiano e mondiale. Recentemente, tra i tanti nomi (tutti importanti) è venuto a mancare il grandissimo Gianni Cavina (1940-2022), un attore che ha attraversato un po tutti i generi, i campi ed i settori, che ha lavorato con molti dei maggiori registi italiani ma che, come molti sanno, è stato spesso associato ai lavori del suo conterraneo Pupi Avati.

  I due grandi bolognesi erano legati anche da un fecondo rapporto di stima ed amicizia, un'amicizia durata per tutta una vita e che ha attraversato un po tutti i generi affrontati dal regista, anche quelli che interessano a Nocturnia, quelli della cosidetta fase del "Gotico Padano" (a cui Avati è recentemente tornato) o fase "grottesca" del cineasta. Mi sto riferendo a classici come Thomas e gli Indemoniati (1970); La Casa dalle Finestre che Ridono (1976), Le Strelle nel Fosso (1979) oppure il recentissimo e già ricordato Il Signor Diavolo (2019) e tanti altri.  per questo ho intenzione di dedicare qualche intervento per ricordare lo scomparso Gianni Cavina.

La mia idea originale era quella di intervenire adesso su La Casa dalle Finestre che Ridono e tra qualche settimana tornare sull'argomento recensendo Il Signor Diavolo ( su altri attori presenti nei film di Avati ho già parlato QUI). Per questo avevo chiesto ad alcuni critici che conosco e che apprezzo dei commenti\pareri sulla pellicola del 1976 da inserire come appendice.

Fermo restando tutto il resto e gli altri programmi i due commenti che ho ricevuto mi sono sembrati talmente belli ed importanti da meritarsi uno spazio tutto loro. Così ho deciso di creare questo post come una sorta di introduzione al mio su La Casa dalle Finestre che Ridono che uscirà dopo Pasqua, questo mi appare un buon modo per omaggiare un artista come Cavina che, parere personale, non sempre è stato apprezzato quanto avrebbe meritato

Avati e Cavina.

 Ringrazio ancora i due esperti del settore che mi hanno regalato dei commenti così preziosi ed ora è giusto che lasci la parola a loro:

IL PARERE DI CHIARA PANI.

La Casa dalle Finestre che Ridono è un film unico nel suo genere, che non ha bisogno della notte per spaventare bensì angoscia profondamente alla luce del sole, con la cornice della zona di Comacchio che pare luogo-fantasma. La ricerca in cui si tuffa il protagonista è un crescendo di inquietudine e genuini spaventi, che culmina nella follia più pura. Una pellicola imprescindibile. 

 IL PARERE DI FABRIZIO FOGLIATO

 Nel film di Pupi Avati si evidenziano passaggi dialogici contenenti affermazioni come: “riti a base di sacrifici umani e comunioni sacrificali”; “possibilità che gli uomini ancora oggi possano trovare contatti con i defunti attraverso queste pratiche”. Sono passaggi seminali che calano il Coppola (Gianni Cavina) nel limbo dantesco, vestibolo di un inferno ancestrale e materico in cui è connotato il film. Coppola è abitato dalla paura, anzi, è la paura: terrore che instillano le fole contadine attraverso l’aneddoto – forma secolare del mito – mistificato dalla tradizione orale che lo deforma e ingigantisce fino a farlo diventare residuo mnestico, relitto affiorante di fatti accaduti. Forza scatenante e terrorizzate che sprofonda i bambini nella disforia dell’incubo, della paura appunto (quella che ha valenza pedagogica e religiosa) che insorge dopo aver ascoltato storie di paura stretti attorno ad un fuoco notturno e campestre. Seppur adulto Coppola – nella recitazione implosiva, tutta nervi e isteria distillata di Gianni Cavina – è un bambino cresciuto che annega nell’alcool la paura che lo divora. Il terrore gli mangia l’anima: egli custodisce segreti inenarrabili; sà, ma non vuole (può) parlare – e non per le conseguenze o la portata giuridica delle sue affermazioni – ma perché è attraversato – come tutti coloro entrati in contatto “ravvicinato” con Buono Legnani pittore di agonie” – dalla consapevolezza che parlare non salva, anzi (come avviene), più prova a parlare più la morte gli si avvicina di gran carriera. La salvezza, semplicemente, nel film non esiste perché il limbo è una condanna per chi è stato oggetto di coloro che hanno tentato di stabilire un dialogo tra il mondo dei vivi e quello dei morti e hanno trovato nell’arte la “porta della percezione” che vi libera l’accesso.

 Per questo il Coppola – apparentemente, mero prodotto della subcultura agreste – grazie, soprattutto all’introiezione trattenuta e sincopata del terrore che Gianni Cavina mesmerizza nelle pieghe di una recitazione schizofrenica e disorientante (valga per tutti il repentino cambio d’espressione all’osteria che precede l’invito a Stefano verso la casa dalla finestre che ridono), riesce ad esplicitare la paura nella sua dimensione più infantile e primitiva. Una paura che scorre nelle sue vene e che lui, inutilmente, tenta di annacquare con l’alcool: il risultato è un essere umano precariamente sospeso tra la condanna degli uomini (il pubblico ludibrio) e quella divina (la pena del contrappasso): acqua in bocca per chi non è stato capace di tenerla chiusa e – senza né accorgersene, né volendolo – parlando con Stefano (l’uomo di città) ha provato a gettare un ponte tra l’agreste mondo apotropaico e l’irruzione brutale e saccente della modernità. Il segreto deve rimanere tale, debitamente occultato nella poetica del dolore e dello strazio martirizzante delle carni affrescata sull’anonima parete di una chiesa fuori mano, isolata nella campagna padana. Una chiesa amministrata da un prete che non è tale ma è sacerdote officiante di rituali ferini e promiscui che mescolano sesso e sangue: per mantenere e instillare il sano terrore protettivo capace di preservare (o, quantomeno, di dare la sensazione di riuscire a farlo) un mondo che appare sull’orlo dell’estinzione

 BIOGRAFIE.

 

Chiara Pani

Chiara Pani nasce a Torino e muove i primi passi nella critica cinematografica di genere nel 2010, collaborando con varie testate, tra cui Horror.it e Nocturno. È appassionata di analisi del film e predilige un approccio interdisciplinare, con un occhio di riguardo a psicologia e sociologia.
 
 
Fabrizio Fogliato.

Fabrizio Fogliato Critico cinematografico, storico del cinema. Torinese, classe 1974. Coordinatore didattico e docente presso l’I.S. “Starting Work” di Como. Scrive per La provincia di Como. É stato redattore di Nocturno e Rapportoconfidenziale.org. Ideatore e curatore di Festival e Cineforum (dal 2013 dirige quello del cinema Excelsior di Erba) sul territorio lombardo. Autore di saggi su Abel Ferrara, Michael Haneke, Luigi Scattini, Paolo Cavara, Gualtiero Jacopetti e f.lli Castiglioni. Ha partecipato a lavori collettanei su Roger Vadim e Pupi Avati. Ha collaborato a INLAND (Bietti edizioni) con saggi su Antonio Bido, Pupi Avati, Michele Soavi, William Lustig.

12 commenti:

Obsidian M ha detto...

Fogliato fa bene a soffermarsi così a lungo su Gianni Cavina. Sebbene sia Lino stato Capolicchio a portarsi via la maggior parte delle inquadrature, il film di Avati non sarebbe stato lo stesso senza quel personaggio grottesco messo in scena da Cavina. L'aggettivo "implosivo", relativo alla sia recitazione, è quanto mai azzeccato: Cavina riusciva ad essere protagonista in modo discreto, dando il suo volto a personaggi tipicamente innocui ma oggettivamente terribili. Mi viene in mente Regalo di Natale, ma qualunque altro sarebbe un esempio perfetto. Davvero orribile che al suo funerale si sono presentati in quattro gatti... Sottovalutato in vita come in morte, mi verrebbe da dire.

Nick Parisi. ha detto...

@ Obsidian M
Già, Avati ha fatto benissimo ad arrabbiarsi come si è arrabbiato. Cavina era un grande attore ed è stato troppo poco apprezzato in vita e come in morte. Brutto destino. :(

Ariano Geta ha detto...

Non ho visto il film in questione, ma certamente ho visto Cavina recitare in "Regalo di Natale" come citava Seve (sia il primo che il "sequel" anni dopo) e in un paio di sceneggiati Rai tra cui "Jazz band" che aveva come regista sempre Pupi Avati.
Certamente un attore molto sottovalutato, come parecchi della sua generazione peraltro, offuscati da comici di dubbio talento che hanno preferito fare tantissimi film "da botteghino" di pessima qualità, e tuttavia verranno ricordati con più affetto e pompa da parte dei media proprio per il loro maggiore successo commerciale.

sinforosa c ha detto...

Non ho visto quel film, ma l'attore Cavina l'ho apprezzato enormemente nello sceneggiato "Una grande famiglia": un ruolo centrale e interpretato alla grande, con una naturalezza meravigliosa.
È vero, un attore poco conosciuto rispetto ad altri, ma indubbiamente bravo. Ciao e buona Pasqua a te e a tutti coloro che porti nel cuore.
sinforosa

Nick Parisi. ha detto...

@ Ariano Geta
" La Casa dalle Finestre che Ridono" è uno dei primissimi film di Avati,un capolavoro della sua fase horror,in quanto tale potrebbe sorprendere tutti coloro che hanno scoperto il regista bolognese con i suoi successivi film della fase " autoriale" ma merita di essere visto e rivisto. Un quanto a Cavina forse ha pagato lo scotto di essere arrivato in un momento in cui il Cinema italiano viveva una sua fase calante di conseguenza ha avuto meno possibilità di essere apprezzato quanto avrebbe meritato.

Nick Parisi. ha detto...

@ sinforosa c.
Cavina era un attore davvero molto naturale hai ragione.
Buona Pasqua anche a te e ai tuoi

Pietro Sabatelli ha detto...

Ne ho scritto anch'io l'anno scorso, ma è giusto far parlare gli esperti, che se dovessi dire due parole adesso direi bello ma non perfetto, comunque il migliore di Avati ;)

Nick Parisi. ha detto...

@ Pietro Sabatelli
Fai una cosa: mandami il link del tuo post che quando farò uscire il mio lo inserirò volentieri in calce. Lo stesso invito lo estendo a tutti i blogger che in passato hanno trattato del film. Va bene anche nei commenti qui sotto.

l'angolo di cle ha detto...

La casa dalle finestre che ridono: quanti ricordi!
Lo vidi da ragazzina, insieme a mia sorella, e mi impressionò tantissimo. Per me fu un vero capolavoro e non perderò per nulla al mondo l'articolo che pubblicherai dopo Pasqua (purtroppo, in questo momento sono in un frullatore lavorativo e fatico ad essere presente online).
Approfitto di questo spazio per farti tantissimi auguri di buona Pasqua, caro Nick! Un abbraccio.

Nick Parisi. ha detto...

@ l'angolo di cle
Pensa che io il film l'ho visto in versione integrale solo una decina di anni fa, ne avevo visto una versione censurata di notte su una piccola rete privata (credo Telenuovo retenord, ma non vorrei sbagliare) e mi aveva colpito tantissimo anche solo così. Ovviamente ne avevo sentito parlare su tantissimi saggi e manuali sul Cinema italiano. Ma con la versione integrale in DVD si è confermato uno dei miei horror preferiti.
Tantissimi auguri anche a te e autte le persone a cui vuoi bene.
Ti capisco anche io sono oberatissimi di impegni. ;)

SamSimon ha detto...

Preziosi questi due contributi, grazie per averli pubblicati! Mi dispiace che un bravo attore italiano sia stato dimenticato così...

Nick Parisi. ha detto...

@ SamSimon
Infatti. È sempre stato un attore se non sottovalutato quantomeno dato troppo per scontato.

Ricordando il passato

Ricordando il passato
 
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