La mia trasferta friulana è conclusa, è ancora presto per dire se ne verrà fuori qualcosa di buono, però in attese del ritorno alla normale programmazione oggi realizzo un piccolo sogno,in occasione del mio compleanno, per il Primo di Maggio: inserire su un mio Blog un raccontino dedicato al
Survival Blog. Non sono uno scrittore, ma questo è il
mio modo per farvi un regalo ( spero gradito); voglio ringraziarvi per come avete accolto
NOCTURNIA.
Con
SEGNALI DAL BUIO, torniamo ai primi giorni del
S.B, quelli de
L'ULTIMO POST, che Alex ha pubblicato ne IL BLOD SULL'ORLO DEL MONDO, il 15 novembre dell' anno scorso. Doveva essere solo un gioco, ed invece si è trasformato in uno degli esperimenti di scrittura collettiva più entusiasmanti della rete: tutti ci siamo divertiti a partecipare, quasi ognuno di noi ha creato un suo alter ego nel' universo pandemico del 2015. Edu ha immaginato un sè stesso fanatico religioso; allo stesso modo Ariano si è immaginato come un "cannibale filosofico"; Hell si è costruito un Inghilterra decadente ed affascinante.
Ma tutti abbiamo costruito le nostre storie. Quanti eravamo? Trenta? Quaranta?
Ma non è questo il momento per parlare più diffusamente del mio
S.B,altri come Ferru hanno giustamente fatto un bilancio della loro esperienza, ma nel mio caso sono passati tanti di quei mesi che non so se è il caso di farlo adesso...
Io all'epoca non avevo ancora un Blog e grazie alla gentilezza di Alex raccontavo le storie del mio alter ego nei commenti al BLOG SULL'ORLO DEL MONDO ma questa storia non esisteva neanche all'epoca. E' tutta nuova, ve la lascio.
P.s.
Ringrazio tre persone: TIM; Ferruccio Gianola e Michela. Non so come avrei fatto senza di loro.
Le immagini sono di Villa Foscari a Malcontenta di Mira (Ve), che meriterebbe una visita, anche solo per le sue leggende di fantasmi di donne dai capelli rossi e di Walking Dead e Dawn of Dead, Michele mi avrebbe dovuto fare delle illustrazioni ad hoc ma non ce l'ha fatta, spero che il risultato sia comunque all' altezza.
SEGNALI DAL BUIO.
Quando guardi a lungo nell'abisso,l'abisso ti guarda dentro.
Friedrich Nietzsche.
Località: Una Villa Palladiana sul fiume Brenta; Mira, provincia di Venezia.
Data: 26\11\2015.
Sarà almeno mezz’ora che continuo a scrutare lo schermo del PC; sono
incredulo. Alex è vivo. La maggior parte degli altri blogger sono ancora vivi. Non so nemmeno perché stamattina mi sia venuta la voglia di accendere il computer: niente in rete da mesi. Nemmeno la rete internazionale d’emergenza fornisce più notizie attendibili, Venusia ogni volta si lamenta, perché secondo lei così sperpero inutilmente le poche ore di energia che i pannelli solari riescono a fornirci. Fino a pochi minuti fa cominciavo a credere che avesse ragione; adesso invece… prima il post di Alex, l’ultimo post, come lo ha chiamato lui, poi una inarrestabile catena: Tim; Ferruccio; lo Spadaccino; Piscu. Tutti vivi. Non ci credo. Non riesco neanche a definire quello che provo, sono tutti segnali che, dal buio, mi richiamano alla mia vita precedente. Sono preoccupato per quello che scrivono Ariano ed Edu, ma non posso farci niente, questa storia ci ha cambiati tutti, i Gialli, gli infetti, quelli che ormai tutti chiamiamo
loro ci hanno cambiato. Vorrei solo riuscire a trovare tra le mail un messagio dei miei fratelli da Napoli e da Roma, vorrei potermi illudere, almeno per pochi istanti.
Solo per questo lascio anche io il mio,e faccio così capire la mia
posizione qui, sul Brenta. Se i miei fratelli sono ancora vivi esiste una
piccola possibilità, remota ma esiste, che loro e mio padre possano leggerlo e
tentare di raggiungermi. Ma è solo una illusione, lo so. Non
c’è più niente a Napoli: solo
loro tra le macerie della mia città
natale.
Venusia mi chiama; mia moglie, a differenza di me, non si è lasciata
abbattere.
Lei cerca sempre di tenersi occupata e alla fine è grazie a questa donna che non mi sono lasciato andare, che non mi sono arreso.
“ Tesoro. Ti dispiacerebbe? C’è da riparare una porzione del muro, alcuni
mattoni si sono staccati, io nel frattempo mi dedico all’orto ed alle ragazze
qui che muoiono di fame“. La osservo circondata delle galline e dalle
oche che abbiamo trovato un poco ovunque tra i giardini e i cascinali
abbandonati della zona, così se c’è una cosa che proprio non ci manca sono le
uova.
“Solo un attimo Ven, mi ci dedico subito. Voglio prima uscire a ritirare le
reti”.
Lei finge di non notare il rigonfiamento della Beretta nei pantaloni, così
come io fingo di non dare troppo peso alla sua apprensione.
“Sbrigati però, sai che non mi va quando stai troppo tempo ‘fuori’”.
Già, a dire la verità non piace nemmeno a me oltrepassare il cancello,
fuori dalla sicurezza del muro di cinta della vecchia villa; ma fatti
pochi passi c’è il fiume che dovrebbe fare da barriera e
loro non sono mai
riusciti ad attraversarlo. Nonostante tutto, uscendo, mi faccio accompagnare
da Cenere, il nostro grosso meticcio. Lascio invece Cipolla, il bouledogue
francese a badare a Venusia. Le mie mani giocano nervosamente con la Beretta.
Almeno la pesca oggi è andata bene: a fine della mia giornata posso contare
su due belle prede. Certo, essendo pesci da fondali fangosi dovranno essere
pulite attentamente, però poteva andar peggio: ho ancora nella bocca il sapore
schifoso del pesce gatto di qualche giorno fa. Cenere è nervoso, si agita, comincia ad abbaiare nervosamente in direzione del bordo fiume.
Il
Brenta non è più il canale sonnacchioso ed inquinato che nei giorni andati veniva solcato da battelli carichi di turisti annoiati; le inondazioni e gli straripamenti dei due anni passati ne hanno profondamente cambiato l’idrografia: molte zone dove una volta c’erano strade, ville e campi coltivati adesso sono state rivendicate dalle acque. Il corso d’acqua che prima riempiva a stento un canale striminzito adesso è diventato un fiume impetuoso. La stessa villa dove siamo,una volta era circondata dal fiume solo su un lato, adesso è praticamente su un’isola. Fino ad ora solo io e Venusia siamo riusciti ad arrivarci prima dell’alluvione. Dopo, nessun altro; meno che meno
loro.
Fino ad ora.
Una voce angosciata risuona nell‘aria. Non riesco trattenere Cenere,
che parte in quarta e si scaglia nella direzione da cui provengono le
urla. Trasportata dalla corrente, assieme a rottami e detriti, una persona è
riuscita ad arrivare fino a noi: una ragazzina, poco più che una bambina si
agita tra i flutti nel tentativo di giungere finalmente a riva.
Qualcuno cerca di trattenerla. Un paio di mani scheletriche spuntate tra le
acque cerca di ghermirla.
Qualcuno, o meglio qualcosa.
Mi basta il colore innaturale di quelle mani per capire che
appartengono ad uno di
loro:appartengono ad un
GIALLO.
La ragazzina cerca di resistere, ma è intirizzita al punto da rischiare l’assideramento.
Riesce però ad arrivare a riva. Solo ora mi rendo conto che
sull’altro lato del fiume, tra le canne e gli arbusti, sono acquattati altri
gialli; persone una volta normali trasformate in belve furiose ed
antropofaghe da quel fottuto prione coreano. Ma quelli non sono un problema, sono lontani, in più il freddo li rende letargici. Non così quello che ha seguito la ragazza, probabilmente il più affamato… o il più rabbioso. Sembra ancora abbastanza veloce e forte. È una donna, probabilmente sui quaranta, con un vistoso taglio sul collo rimarginatosi male.
Provo a puntare la pistola contro la gialla. La bambina, supina a terra,
continua ad urlare e piangere mentre Cenere, che dovrebbe difendermi,
continua sì ad abbaiare, ma a distanza di sicurezza. Con la coda dell’occhio credo di notare mia moglie che arriva di corsa con il piccone in mano.
La donna contagiata mi ringhia contro, porta ancora addosso i resti di un
abito da manager. Lei fa un passo avanti, io uno indietro, nel tentativo di prendere la mira. Questo è il momento peggiore: non sono mai stato un amante delle armi o della guerra. Prima non sapevo nemmeno com’è fatta una Beretta, perfino adesso ho difficoltà ad usarla. Per fortuna però, almeno stavolta, non dovrò scegliere: Venusia, con un colpo deciso, pianta la punta del piccone direttamente in fronte alla donna,la contagiate fa in tempo solo ad emettere un gorgoglio sorpreso e poi crolla morta a terra. Io rimango un attimo fermo, come un coglione, con la pistola puntata verso il nulla.
“Avevo sentito le urla. Ero preoccupata… ”
“Prima d’ora non avevo visto nessun giallo in grado di nuotare. Ven, sarebbe
un problema se ce ne fossero altri così.”
Non lo dico tanto per dire, perché sulla riva opposta gli altri gialli
sembrano agitati alla visione della fine della donna. Sparo due o tre colpi nel
mucchio, ne vedo uno cadere a terra, gli altri si disperdono. Spero che le temperature stanotte si abbassino ulteriormente, così dovrebbero scomparire
del tutto. Mia moglie si china preoccupata sulla ragazza. La sconosciuta
sembra sana, non mostra segni di morsi, ma non posso esserne sicuro.
Non mi piace quello che sto per fare, ma ho visto troppe persone, compresi
molti che conoscevo, diventare
gialli.
“Venusia, allontanati.” Cerco di dirlo nel modo più calmo e gentile
possibile, la pistola che trema nelle mie mani.
Lei capisce subito, ma non fa cenno di allontanarsi.
“Sai che deve essere fatto. Non piace nemmeno a me. Ma potrebbe essere
contagiata.”
Mia moglie si alza, mi si para davanti, allarga le braccia.
“Ma non lo vedi che è solo una bambina e che si sta assiderando?”
Provo ad insistere: “Venusia, spostati. Per favore… ”
“Se lo fai, non sei tanto diverso da quelle bestie. Se le spari non ti far
più vedere da me.”
Sconfitto, abbasso la pistola. La mano trema ancora. Lei si addolcisce:
“Facciamo così. Adesso io controllo che non abbia né morsi né graffi strani.
Poi la sistemiamo nella camera più lontana dalla nostra per qualche giorno,
teniamo la camera sprangata in modo che, se si trasforma, non possa sfondare
la porta. Entriamo solo per darle da mangiare. Se poi mostrerà segni di contagio
allora, e solo allora, la elimineremo.”
Non ascolta nemmeno la mia risposta, solleva delicatamente la ragazzina senza
badare ai suoi vestiti ed alla pelle bagnata; la sconosciuta fa in tempo, per
un attimo, ad uscire dal suo stato d’incoscienza e con un accento dell’Est
europeo sussurra una sola parola in direzione di mia moglie : “Grazie”.
Rimango solo. In un accesso di rabbia butto il corpo della gialla morta nel
fiume, senza nemmeno estrarre il piccone. Solo dopo mi renderò conto dell’errore che ho fatto; per un poco niente più pesca: chi lo sa che diavolerie
quel cadavere può attaccare ai pesci…
Mi siedo, scoraggiato, su un sasso vicino alla riva. Cipolla, scodinzolando
con il suo mozzicone di coda, mi si affianca festante.
“Cipolla. Che cazzo di nome per un bouledogue!” esclamo mentre gli gratto la
testa. Lo ha deciso Venusia, il nome del cane. L’abbiamo trovato nel giardino
di un casolare di campagna, quando fuggivamo da Mira per i campi. I
proprietari, durante l’evacuazione della riviera, erano scappati
abbandonandolo. E' stata Venusia ad insistere che ce lo portassimo dietro; lei
è fatta così. Lo stesso giorno abbiamo incrociato un’auto, lì abbiamo trovato le
chiavi e la cartina con la strada fino alla villa. Il proprietario aveva
sicuramente intenzione di andarsi a barricare lì dentro; beh, non è mai
riuscito ad arrivarci. All’interno della macchina, c’erano i suoi resti. Chi
l’abbia fermato sulla strada e divorato è abbastanza chiaro. La sua morte,
però, è stata la nostra salvezza.
Come le alluvioni del 2014 che hanno alterato buona parte del
territorio di Mira e Dolo e creato di fatto un’isola che fa da confine e
barriera tra la
nostra casa ed il resto del mondo.
Fino ad ora…
Venusia mi ha raggiunto poco fa, sembrava più calma.
“Ho controllato. La bambina non mostra segni di morsi o contagio; adesso sta
dormendo. C’è solo una cosa che mi preoccupa”.
“Cosa?”.
“Credo che sia stata violentata. Non credo che stesse scappando solo dai
gialli…” Venusia, rimane in silenzio per un istante poi mi bacia sulla
guancia. “So che alla fine quella bambina non l’avresti ammazzata. Tu non sei
così.”
“Ne sei sicura? Sai, di solito arriva sempre il momento in cui la vera natura delle persone viene fuori,e scopriamo come siamo fatti veramente. Bene, sono
contento che stavolta questo momento non sia arrivato.”
“Ne sono sicura. Ricordati, tu non sei così.”
Così ora, mentre lei è in cucina a preparare i pesci presi oggi, io sono qui,
da solo, davanti allo schermo, fermo, a pensare. Venusia è convinta, io no. Avrei sparato alla ragazza, pur di sentirmi sicuro? L’avrei accolta in casa se non ci fosse stata mia moglie?
Fuori di qui ci sono altre persone vive, altri sopravvissuti. Molti di loro li
conosco. Con le loro mail raccontano a me ed al mondo che rimane il loro
vivere, il loro lottare, il loro morire. Quanto sono disposto oggi ad
aiutarli?
Quanto sono disposto adesso ad ospitarli, a condividere con loro quel poco che
ho?
Basterebbe poco, basterebbe digitare qualche mail in più per convincerli a
venire qui, ma lo voglio veramente?
Sono diventato saggio o semplicemente egoista?
Tu non sei così! Sicuro?
Alzo la mano per digitare un messaggio sulla tastiera del Computer e l’abbasso
quasi subito.
Guardo lo schermo del PC. Lo schermo del PC guarda me.
Fine