Questo post si inserisce all’interno del progetto di collaborazione tra blogger nato con il nome Pax Fantascientifica e poi divenuto Cosmolinea B- Log. Questo significa che il seguente articolo in due parti compare in simultanea anche nel blog di Ivano Landi Io e Ivano ci siamo accordati per inserire entrambi i loghi , uno all'inizio e l'altro alla fine del post.
QUI trovate il post di Ivano Landi.
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Ringrazio Ivano che ha scritto questo splendido articolo in due parti e per avermi proposto la pubblicazione anche su Nocturnia.
Buona lettura
Da Lord of Light ad Argo - Quando Jack Kirby e Barry Geller provarono a cambiare il mondo /1 di 2
di Ivano Landi
Quando mio padre mi fece vendere tutti i fumetti perché "non distruggessi la mia mente", non osai dirgli che la mia mente, grazie a Jack Kirby, se ne era già andata. L'influenza di Jack crebbe in me per i successivi quattordici anni, ispirandomi la scelta di studiare fisica, la visione di altri mondi, altre culture, altre dimensioni, e le possibilità future delle nuove tecnologie. (Barry Geller)
Quelli di voi che sono nati prima, o durante, gli anni '60, ricorderanno probabilmente la crisi degli ostaggi dell’ambasciata americana a Teheran, per averla vissuta in diretta attraverso i telegiornali e la stampa. Chi è nato dopo potrà invece averne sentito parlare per la prima volta solo grazie a un film del 2012, intitolato Argo, con la regia di Ben Affleck, che ne è anche l'interprete principale. Questo post si occupa, in modo diretto, della vicenda degli ostaggi, e, in modo indiretto, del succitato film, poiché tratta di una serie di circostanze particolari rievocate, sebbene alla lontana, anche dalla pellicola di Affleck.
Tutto, com'è noto, ebbe inizio la mattina del 4 novembre 1979, quando un folto gruppo di studenti universitari iraniani, fedeli alla rivoluzione khomeinista dell'anno precedente, dette l'assalto all'ambasciata statunitense di Teheran. Si trattò del non facilmente prevedibile sbocco di un braccio di ferro che andava avanti da mesi, da quando cioè gli Stati Uniti avevano concesso asilo al deposto
Shah Reza Pahlavi (1919-1980), salito al potere un quarto di secolo prima grazie a un colpo di stato, in gran parte organizzato dagli stessi americani, che aveva rovesciato il governo del presidente eletto Mohammad Mossadeq (18821967). Il risultato dell'assalto fu la cattura di cinquantadue cittadini statunitensi, tenuti poi segregati nei locali occupati della sede diplomatica, come merce di scambio per la riconsegna dello Shah da parte del governo americano. Questo per 444 giorni, la durata di una crisi internazionale che, oltre a portare il mondo sull'orlo di una nuova grande guerra, minò nel profondo la fiducia del popolo americano e azzerò ogni speranza del presidente Jimmy Carter di essere rieletto per un secondo mandato alla guida del suo Paese.
Non tutti i cittadini americani presenti nell'ambasciata al momento dell'assalto furono però presi prigionieri. In cinque - i diplomatici Mark Lijek e Joseph Stafford, le rispettive loro mogli, Cora e Kathleen, e Robert Anders, un alto rappresentante addetto ai visti - si trovavano nell'unico edificio della struttura con accesso diretto alla strada e riuscirono a sfuggire alla cattura, mescolarsi alla folla e rifugiarsi nell'appartamento di Anders. Continuarono poi, per alcune ore, grazie a una radio collegata al network dell'ambasciata, a seguire il succedersi degli eventi, grazie soprattutto al racconto in diretta del cronista Codename Palm Tree - alias di Henry Lee Schatz, un diplomatico addetto in realtà alla raccolta e all'analisi di dati sull'agricoltura iraniana - che vedeva tutto dal suo ufficio al sesto piano di un palazzo antistante la sede diplomatica. Ma già alle tre del pomeriggio ogni comunicazione in lingua inglese era cessata, compreso quella di Codename Palm Tree.
Ma facciamo adesso un salto spazio-temporale e spostiamoci al di là dell'Europa e dell'Atlantico, e alla mattina del giorno successivo, il 5 novembre. Dopo che il Consiglio rivoluzionario iraniano aveva subito respinto ogni possibilità di trattativa, agli americani non restava che percorrere la strada dell'operazione clandestina, ossia passare la patata bollente alla CIA. In particolare, la guida delle operazioni venne affidata al trentottenne Tony Mendez, da quattordici anni agente del dipartimento di scienza e tecnologia della famosa, e famigerata, agenzia di intelligence. Ma è soprattutto la sua
passata esperienza sul campo, come specialista in esfiltrazioni attraverso cambi di identità, a farlo ritenere l'uomo giusto a risolvere il caso.
Mendez, ancora all'oscuro dell'esistenza dei cinque fuggitivi, concentrò dapprima i suoi sforzi sulla ricerca di un modo di liberare i cinquantadue prigionieri in ambasciata. Ma si trattava di un compito tutt'altro che facile, dopo che la rete d'intelligence stabilita dalla CIA in Iran ai tempi dello Shah era andata quasi completamente distrutta e con gli unici tre agenti rimasti sul campo tutti e tre prigionieri nella sede diplomatica. La soluzione che propose, fingere di restituire il corpo dello Shah usando un body double cadavere venne bocciata dai vertici della Casa Bianca e tutto sembrava ormai giunto a un punto morto. Finché un giorno gli fu consegnato un dispaccio segreto del Dipartimento di Stato che lo avvisava di sei cittadini statunitensi scampati alla cattura e nascosti da qualche parte a Teheran. Erano loro a correre i rischi più seri nell'immediato, dal momento che la sede diplomatica aveva pur sempre puntati addosso gli occhi del mondo intero, e fu deciso che il loro caso dovesse avere la precedenza. Mendez, stavolta, non ebbe dubbi sul suo piano d'azione: prima avrebbe procurato ai sei delle false identità, poi si sarebbe recato in Iran, li avrebbe accompagnati all'aeroporto e fatti imbarcare su un volo di linea.
A Teheran, nel frattempo, i cinque si erano divisi in due gruppi e avevano trovato rifugio nelle residenze diplomatiche dell’ambasciatore canadese Ken Taylor, e di John Sheardown, un altro membro della stessa ambasciata amico di Anders. Da Sheardown trovò inoltre rifugio Henry Lee Schatz, vale a dire Codename Palm Tree, tenutosi nascosto fino ad allora nella residenza di un diplomatico svedese. I sei fuggitivi formavano così, per la prima volta, un unico gruppo. Ma la loro situazione era tutt'altro che comoda. Più volte i Guardiani della rivoluzione erano arrivati a un passo dallo scoprire i loro nascondigli, mentre il paziente lavoro di ricostruzione dei documenti fatti a striscioline dagli americani al momento dell'assalto all'ambasciata, portato avanti da dei tessitori di tappeti iraniani, avrebbe potuto condurre da un momento all'altro alla scoperta che mancavano sei persone all'appello*. Inoltre, a peggiorare le cose, ci si mettevano anche gli organi di stampa americani, che cominciavano a far filtrare voci sul loro conto. Il 10 gennaio 1980, un cablogramma dettato da Mark Lijek e
Robert Anders, con una richiesta di soccorso immediato, fu recapitato a Washington attraverso l'ambasciata canadese.
Tony Mendez aveva nel frattempo deciso di fornire a sei proprio delle identità canadesi. Gli mancava solo una storia plausibile da fornire alle autorità iraniane riguardo alla loro presenza a Teheran. Giornalisti, membri di associazioni umanitarie e prospettori petroliferi nordamericani erano una presenza costante da quelle parti, ma erano anche tutti strettamente monitorati. Il Dipartimento di Stato gli propose allora di trasformare i sei in insegnanti in cerca di impiego, ma c'era il dettaglio, non da poco, che tutte le scuole in lingua inglese della capitale iraniana erano state chiuse. Mendez respinse inoltre l'idea del governo canadese, di trasformarli in agronomi: da quelle parti, fece notare, il suolo si ricopre di neve a gennaio. Un'altra settimana si era così conclusa con un nulla di fatto.
Ma Mendez ebbe infine un'intuizione, che capì subito essere quella giusta. I film di fantascienza, rifletté, erano spesso girati in località esotiche che dovevano evocare il paesaggio di un altro pianeta, cosa di meglio quindi che trasformare i sei uomini in una squadra di pre-produzione approdata in Iran alla ricerca di una location adatta a girarvi un film hollywoodiano ad alto budget. Un investimento più che allettante per il nuovo governo iraniano, affamato di dollari. Mendez si dedicò così a particolareggiare il suo piano, che poi propose ai suoi superiori, ottenendo, sebbene a denti stretti, il loro sì e quello della Casa Bianca. Tutto è pronto, a quel punto, per l'entrata in scena di Kevin Costa Harkins, produttore cinematografico irlandese di belle speranze.
Il 19 gennaio 1980, Tony Mendez AKA Kevin Costa Harkins vola a Los Angeles con 10.000 $ in tasca per incontrarvi il truccatore cinematografico John Chambers (1922-2001), da tempo suo collaboratore alla CIA e vincitore dell’oscar per il miglior make-up con Il pianeta delle scimmie. Chambers accetta di collaborare con Mendez e coinvolge a sua volta nel progetto un amico e collega, come lui specialista in make-up, di nome Robert Sidell. In quattro giorni i tre mettono in piedi una finta casa di produzione, la STUDIO SIX PRODUCTIONS, più sei finte identità e sei finti curriculum per le sei persone che avrebbero formato la finta troupe cinematografica. E il film? A quello provvederà lo stesso Chambers.
Dobbiamo fare adesso un salto di alcuni mesi, indietro fino al giorno in cui John Chambers ricevette una telefonata da Barry Ira Geller. Geller, uomo di scienza oltre che scrittore e produttore per il cinema e la televisione, aveva acquistato i diritti cinematografici del romanzo di fantascienza di Roger Zelazny (19371995), Lord of Light, aveva scritto la sceneggiatura del film che ne avrebbe tratto e raccolto i fondi necessari alla sua produzione. Si era poi messo alla ricerca di qualcuno che disegnasse come Jack Kirby (1917-1994), il celebre autore di fumetti idolo della sua infanzia e adolescenza, per realizzare i disegni di scena. Ma nessuno dei disegnatori che gli si proponevano appariva abbastanza bravo ai suoi occhi da reggere il confronto. Allora, si disse alla fine, perché non provare a interpellare direttamente Jack Kirby?
* * *
* I documenti in questo modo recuperati furono in seguito pubblicati dal governo iraniano in una serie di libri raccolta sotto il titolo Documents From the US Espionage Den.
L'immagine in alto sotto il titolo è: Jack Kirby, Brahma's Pavillons of Joy (1978, colori di Mark Englert, 2015).
Le altre immagini sono frames del film Argo (Ben Affleck, 2012).
22 commenti:
Urka. Dico solo questo.
@ Massimiliano Riccardi
Ed è ancora solo l' inizio...
Grazie mille per l'ospitalità, Nick! Domani ti invio la seconda parte. Non facciamo aspettare troppo i nostri amici ;-)
@ Ivano Landi
Grazie a te per avermi proposto questo bellissimo post.
Oh sì, me la ricordo questa vicenda. All'epoca dei fatti ero piccolino, per cui sono certo di averne letto in seguito il resoconto da qualche parte (il film no, non mi pare di averlo visto). I dettagli però non me li ricordo, così come non mi ricordo del coinvolgimento di Jack Kirby. Attendo con ansia il seguito.
@ Obsidian Mirror
Seguito che arriverà prestissimo caro Tom, molto prima di quanto tu immagini
@ Obsidian M
Dei dettagli ho conservato solo quelli necessari a una miglior comprensione dell'articolo, per ovvi motivi di spazio ma anche perché questo non vuole essere un articolo sulla vicenda degli ostaggi. Non ho scritto, per esempio, che i dipendenti dell'ambasciata catturati erano all'inizio 66, ma quattordici di loro - gli afroamericani e le donne - furono lasciati liberi di andarsene dopo pochi giorni.
@ Bara volante
Il film parte bene, ma come molte altre creazioni made in Hollywood ha un'autonomia di mezzora poi è costretto all'atterraggio d'emergenza. Tolta appunto la prima mezzora, per il resto Affleck lavora di fantasia e di stereotipi razzisti.
@ Bara Volante
Devo essere sincero: anche io ignoravo il coinvolgimento di Kirby.
La storia in questione la conoscevo (e ricordo anche la crisi degli ostaggi americani a Teheran) però non così nei dettagli. Ottimo lavoro del guest blogger e del blogger ospitante :-)
Storia pazzesca. A tratti ricorda vagamente quella di Watchmen. Però questa è tutta vera!
@ Ariano Geta
Grazie da parte di entrambi anche se il vero lavoro - bisogna riconoscerlo- lo ha fatto il blogger ospite
Cioè Ivano.
@ Marco Lazzara
Infatti ed è questo il particolare più importante.
@ Ariano Geta
Grazie :-))
@ Marco Lazzara
I dettagli davvero "pazzeschi" sono concentrati nella seconda parte, Marco. Vedrai ;-)
Seconda parte che sarà pubblicata a breve
Un eccellente lavoro di ricerca su più fronti: attendo di leggere la seconda parte e nel frattempo vi faccio i complimenti!
@ Clementina Daniela Sanguanini
Grazie soprattutto da parte di Ivano
@ Clementina
Complimenti incassati più che volentieri ;-)
E la seconda parte è in arrivo...
Splendida iniziativa e complimentissimi ad Ivano, che ti prende subito e non ti molla! ;-)
@ Lucius Etruscus
Grazie per i complimentissimi, Lucius ^_^
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