Con un po' di ritardo- e me ne scuso con l' autrice- pubblico il racconto conclusivo del progetto " Racconti contro la Guerra". Giugno è stato un mese pieno dal punto di vista lavorativo per il sottoscritto, ma sono felice di aver completato questo progetto nato tempo fa per iniziativa di Diego Rossi e trasmigrato in rete da altri blog fino a Nocturnia. Nel prossimo post tutti i link dei racconti precedenti.
La casamatta trema sotto l’onda d’urto del cannone
acustico. Thukse trattiene il respiro. Gli yieda sono ormai usciti dalla baia e
risalgono il canalone che penetra nelle terre ovest del continente. Fra poco, le
loro armi a raggi infrarossi saranno abbastanza vicine da sbriciolare la
postazione. Si affaccia alla stretta feritoia per dare un ultimo sguardo alla
nana arancione. Per i kodvo, quella è Xoncta. I nemici non potrebbero mai
pronunciarne il nome, perché la loro lingua non possiede i click. Infatti, la
chiamano Sheobaa, una parola delicata e dolce. È un linguista e, per quanto
detesti quella gente, non può negare la bellezza delle parole yieda che conosce.
Il cannone acustico ricomincia, facendogli vibrare le ossa del cranio. Intontito
dalle onde sonore, Thukse non riesce più a reggersi in piedi. Si accuccia sul
pavimento, appallottolandosi per proteggere gli organi interni. Nell’ultimo
attacco, uno dei peggiori, il Centro Comando, situato molto addentro al
continente, ha subito pesanti perdite: novanta soldati che stavano all’esterno
sono morti, molti ufficiali sono stati sopraffatti da nausea, vomito e danni ai
recettori dell’equilibrio. Le allucinazioni acustiche hanno tormentato per
giorni perfino Nyar, Dirigente Militare di primo livello.
Trascorre la notte in
un sonno disturbato da continui risvegli. La comunicazione del CeCo lo riporta
alla coscienza. – Thukse, le armi yieda hanno perso potenza, e noi siamo passati
all’attacco con i grandi distorsori ElettroMagnetici. Ti mando qualche rinforzo.
La notizia lo rincuora un po’. La sua è una postazione secondaria e l’evenienza
che gli yieda entrassero nella baia e risalissero il canalone non era prevista.
Talvolta si domanda se gli esperti del CeCo siano davvero tali.
Il due-posti a
cuscino d’aria s’infila nella rampa sotterranea. Thukse attiva il proiettore
olografico e l’area assume l’aspetto di una collina fiorita. Purtroppo, non
appena i cannoni acustici riprenderanno a funzionare, si orienteranno
automaticamente verso la casamatta. Se!har e Areque salgono nel locale interno e
scaricano sul pavimento provviste e distorsori EMA portatili. Poi lo scrutano e
si precipitano a sostenerlo. – Da quanto tempo non mangi? Scuote il capo, non
ricorda. – Spostati, Se!har, lascia che lo medichi. – Va bene. Intanto, vado a
piazzare gli EMA sull’altura. Areque si prende cura di Thukse. – Sei molto
disidratato – è il verdetto, – e hai un dente spezzato… Per riavere il tuo bel
sorriso dovrai aspettare, – lo sfotte. – Puoi chiamarmi Are.
Dopo aver consumato
le razioni e sorbito vari liquidi caldi, Areque e Se!har aprono i materassi e lo
fanno distendere fra loro. Il calore dei compagni lo conforta, un lento
desiderio comincia a scorrere nel suo corpo pieno di gelo. Xoncta scende lenta
oltre l’orizzonte. Tre piccole lune si rincorrono nel cielo. Areque punta i
rilevatori di infrasuoni verso il canalone. – Segnaleranno la posizione delle
navi yieda. Di più non possiamo fare. Se!har colpisce il tavolo con un pugno. –
Maledetti loro, sono ottant’anni che ci combattono. – Inutile recriminare –
risponde Thukse. – Noi facciamo altrettanto. – Hanno cominciato prima loro. – Ci
siamo già scontrati troppe volte per poterci accusare a vicenda – insiste.
Se!har torna a sedersi. – Ascolta, Thukse. Tu sei un riservista chiamato in
servizio, ma io combatto, per me sono nemici e basta. E poi… Non sembrano figli
di Xoncta, siamo come specie diverse. La loro pelle è differente dalla nostra,
cambia colore all’improvviso quando vogliono mimetizzarsi, potremmo averne uno
là fuori e non ce ne accorgeremmo… – Basta, Se!har. – Taglia corto Areque. –
Sragionare non ci porta da nessuna parte. Come potrebbero mimetizzarsi senza
essere captati dai nostri strumenti? Questa guerra senza fine è già costata
centinaia di migliaia di vittime e danni di ogni genere. O combattiamo fino
all’ultima creatura, o troviamo un modo per convivere. – Ma chi vuole convivere
con quelli là? Sono piccoli, con le bocche rotonde e senza labbra, le orecchie
invisibili. E puzzano. – Quando mai ti sei avvicinato a uno yieda tanto da
annusarlo? – Areque si allontana con fastidio. È accanto alla feritoia, quando i
rilevatori si attivano all’improvviso. Nessuno rompe più il silenzio sceso tra
loro.
Gli yieda continuano la navigazione, ma le loro armi funzionano solo a
tratti, a causa dei campi EMA. Sempre più nervoso, Se!har esce per controllare i
distorsori piazzati la mattina. Thukse aspetta che scenda la notte, poi avvia il
software che è riuscito a ripristinare nei giorni precedenti e libera i
microvolatori. Areque si avvicina seguendo i puntini che sfrecciano sullo
schermo. – Quindi non sei soltanto un riservista che ama le parole! – commenta
con uno schiocco compiaciuto. – Da solo il tempo non passa mai, così ho rimesso
in funzione il programma. In queste notti, il pianeta attraversa uno sciame
meteorico e gli yieda non riusciranno a captare i nostri piccoli segnali. –
Stiamo a vedere. – Areque accosta lo sgabello e studia lo schermo. Il
microvolatore oltrepassa la collina e precipita verso la baia volando
all’inseguimento della nave di coda nel canalone. L’imbarcazione è snella e
forte senza essere imponente; Thukse la studia con un odio che sconfina nel
rispetto e ammira la lunga serie di cannoni acustici lungo i fianchi. I danni
che creano alla casamatta non sono niente rispetto a quelli che infliggeranno
agli insediamenti dell’entroterra.
Il volatore rileva ogni dato importante e
passa alla nave successiva. – Sono dei bastardi, – sussurra Areque. – Eppure,
quanto sono belle le loro navi! – Già. Lasciamo che la registrazione prosegua,
poi la invieremo al CeCo. A Se!har, e soprattutto a noi, non farebbe bene
esaminare questo materiale. Are gli assesta una pacca che lo fa barcollare – ben
detto! Del resto, tu studi le parole e io curo la nostra gente, cosa possiamo
saperne di questi dettagli militari? – Scoppia in una risata piena. Il suo è un
bel sorriso. Il silenzio scende piacevole tra loro e Thukse si augura che il
soldato non torni troppo presto. La domanda spezza quel momento di quiete, ma
aumenta la loro confidenza: -– ci sarà mai pace fra noi, linguista? – Possiamo
sperarlo. – Sì, sperare non è tradimento. Il giorno successivo, un volatore
schermato consegna le registrazioni notturne al CeCo. Una breve comunicazione fa
anche il nome di Se!har, che non è ancora rientrato. Are indossa la mimetica e
si avvia alla porta. – Vado a cercarlo! Tu resta qui, conosci questi strumenti
meglio di me. – Forse sta seguendo i movimenti degli yieda per ordine del CeCo.
– O forse si sta solo comportando da idiota. Se avesse ricevuto ordini precisi
ci avrebbe avvertito, non credi? Tuttavia, se fosse in pericolo… – Aspettiamo
che sia giorno pieno, poi decideremo. L’idiota rientra a mattina inoltrata e
viene messo al corrente delle novità. Non è per nulla soddisfatto, ma si calma
un po’ quando apprende che c’è anche la sua firma. – Dobbiamo aspettare ordini –
commenta, seccato. – Ho vegliato tutta la notte, quindi mi merito un po’ di
riposo. NON PRENDETE altre iniziative senza informarmi. I compagni lo ignorano.
Il CeCo li contatta verso mezzogiorno. – Sono Nyar. Mi congratulo per la
brillante operazione. Desideriamo un confronto con due di voi, quindi affido la
postazione a Se!har, il militare con maggiore esperienza. Areque e Thukse,
partirete domattina, non appena avremo inviato un EMA di copertura. Pilotato da
Areque, il due-posti giunge al CeCo in serata.
Si trovano in un’area gigantesca
e piena di grandi edifici. Centinaia di luci la illuminano a giorno ma
spariscono di botto oltre il quarto piano, schermate da un sistema sofisticato
che Thukse non conosce. Più in alto, regna un buio assoluto che pare aver
inghiottito anche le costellazioni e gli ammassi globulari che conosce da
sempre. Accompagnati da due soldati, oltrepassano un grande cancello ed entrano
in un ampio ascensore che ospita soltanto loro quattro. Scendono velocemente, le
luci ammiccano: -1, - 2, - 3, - 4… Infine, a bordo di un miniveicolo, si
addentrano in un corridoio pieno di porte. – Potete riposare in queste due
stanze, la mensa è a sinistra. I Dirigenti vi riceveranno a notte inoltrata. In
superficie dev’essere quasi l’alba, peccato non veder sorgere Xoncta. La loro
guida mostra il polso a un sensore e la porta scorre di lato. La voce che li
invita a entrare è quella che ha ascoltato per la prima volta il giorno
precedente. – Sarete stanchi. Abbiamo approfittato del vostro tempo, e mi
dispiace. I presenti, seduti a un grande tavolo rotondo, li fissano impassibili.
Nyar, invece, viene loro incontro. – Accomodatevi qui con noi. – Accanto a
Thukse, Are trattiene il respiro. – Speravo di ricevervi prima ma, dopo un
periodo di stasi durato lunghe stagioni, tutto sta accadendo a gran velocità.
Prima è cominciato il nuovo grande attacco degli yieda, che due anni fa avevamo
ricacciato nel continente est. Poi, qualche giorno fa, è giunta una strana
offerta che voi due potreste aiutarci a valutare. Infine, abbiamo ricevuto le
vostre informazioni, che potrebbero darci molto vantaggio dal punto di vista
militare. Inutile dirvi, – il tono di Nyar cambia bruscamente – che tutto questo
resterà fra noi. A qualunque costo. Entrambi si affrettano ad annuire.
A un
cenno del Dirigente, un ampio schermo prende vita. – Guardate con attenzione
questa persona. La creatura è bipede, meno alta di un kodvo. Ha una testa grande
e ossuta, coperta da una certa quantità di pelo, gli occhi chiari e la pelle
scura. Spalanca la bocca, si muove a scatti, andando su e giù davanti a loro.
Calza sandali trasparenti che mostrano strani piedi con cinque dita corte e
tozze. Anche le mani, che la creatura agita spesso, hanno cinque dita. – Un
alieno! – è la constatazione incuriosita di Areque. – Proprio. Vorrebbe
ascoltarlo parlare, Thukse? – propone Nyar, leggendogli nella mente. Annuisce
con foga. … Le parole scorrono veloci e ritmate, impossibili da separare,
salendo e scendendo di tono. Gli accenti paiono molteplici, ed è questo, forse,
a conferire alla sua parlata un andamento ticchettante. La creatura ha
un’estensione vocale molto ampia. Inoltre, spesso produce suoni strani e
ansimanti, associati a smorfie che potrebbero essere sorrisi. – Fantastico! – Si
lascia scappare. – Ma da dove viene? Nyar scuote il capo – non lo sappiamo
ancora. Dice di venire da lontano, ma questo è ovvio. – Come siete riusciti a
comunicare? – chiede Are. – Ha fatto tutto da solo. Possiede un aggeggio che
cambia le sue parole nelle nostre; ma soprattutto, parla un po’ il kodvo e un
po’ lo yieda. Si è offerto di fare da mediatore tra noi e loro. Ed è ambizioso:
non mira a una tregua, ma a una pace permanente. Lo schermo viene bloccato.
Nessuno dei presenti commenta. Pace è una parola che gli attuali Dirigenti del
CeCo non hanno mai preso in considerazione. – Allora, siete disposti a
incontrare il Mediatore? Vi conoscerete qui, ma ciò che il nostro alieno ha in
mente non coinvolgerà soltanto voi, e avverrà in una piccola insenatura del
Ponte di terre che collega i due continenti. C’è brezza di terra, e Are, Thukse
e altri quattro compagni si avvolgono nei lunghi mantelli bruni. Il cappuccio
nasconde i loro visi, lasciando trasparire soltanto gli occhi.
Il profilo del
Ponte appare in lontananza e già se ne scorgono i golfi, gli istmi e le brevi
penisole. La loro meta è una cala riparata che il mediatore ha battezzato
Qlamiashh, fondendo una parola kodvo e una yieda. Ormeggiano l’imbarcazione a
destra e percorrono il breve sentiero in salita. Il mediatore li attende su
un’ampia terrazza naturale. Alle sue spalle è stato allestito un pergolato
ombroso con molti sedili sistemati a semicerchio. Si salutano con un sorriso. –
Ricordaci che cosa dobbiamo fare e cosa no. – Mantenetevi coperti, tenete le
braccia lontane dal corpo, evitate di mostrare i denti e non fate tutti quegli
schiocchi e click. Penso io a tradurre. – E a loro che cosa hai consigliato? –
domanda Areque. – Restate coperti, non miagolate e, soprattutto, evitate di
tossire. – Loro tossiscono, – commenta Are con un brivido. – Non lo faranno,
sanno che per voi è un suono sgradevole. – E la pelle? Le labbra? Il mediatore
fissa Areque senza comprendere. Poi produce una versione molto più netta dei
suoni che emette sorridendo. – Il mimetismo? Le bocche rotonde? Non pensateci
nemmeno. Sono stupidi pregiudizi. Comunque, anche loro ne hanno molti su di voi:
le vostre risate minacciose, la lunga lingua che vi permette di fare tutti
quegli strani suoni… Ah, sì, avete anche gli artigli. I kodvo si scambiano
occhiate perplesse. Che sciocchi a non aver messo in conto i pregiudizi degli
yieda. – Per questo ho insistito sui mantelli: inutile complicare le cose al
primo incontro. L’altra imbarcazione sta ormeggiando. Ne scendono sei creature
vestite come loro. Si muovono con una grazia fluida, salgono il sentiero tenendo
gli arti superiori lontani dal corpo.
Giunti in cima, si girano verso di loro,
sollevano le braccia con estrema lentezza fino a portarle al di sopra del capo e
mostrano il palmo vuoto delle mani guantate. Un segno inconfondibile di pace. Il
mediatore annuisce. Con altrettanta lentezza, i kodvo fanno altrettanto. I due
gruppi si studiano senza emettere suoni. Thukse ammira gli occhi allungati e le
mani grandi degli yieda, e lascia che osservino quel poco che possono vedere di
lui. Poi, senza alcuna ragione precisa, tutti volgono lo sguardo alla nana
arancione appena velata dalle nubi nel cielo turchese. – She-koo-baa – scandisce
il linguista, senza pensarci. Il mediatore si volta di scatto, tutti sembrano
più nervosi. – Csooshhtaaa – miagola lo yieda più sottile e i suoi occhi
mostrano una considerevole soddisfazione. È una giornata tiepida, quello è un
buon mondo, e forse tutti stanno cullando la medesima speranza. Si godono quel
silenzio privo di minaccia. Poi, ubbidendo al gesto del mediatore, accendono
diligenti i traduttori automatici. – Vi prego di accomodarvi laggiù. Il momento
di prendere posto riaccende la tensione, ma i sedili sono equamente divisi e i
due gruppi si formano senza problemi. Thukse prende posto nel sedile più
centrale del proprio gruppo e lo stesso fa lo yieda che ha tentato di
pronunciare il nome di Xoncta. Un altro linguista, ci scommetterebbe. – Grazie
di essere qui. L’alieno resta in piedi, senza guardare i presenti che si è dato
la pena di radunare. Sfrega le strane mani e le sbatte una contro l’altra, un
gesto che Thukse suppone significhi “diamoci da fare”. – Vi chiederete perché mi
sia offerto di organizzare questa riunione. – Lo sguardo si perde nell’oceano
alle loro spalle. – Nel posto da dove vengo non sono più il benvenuto, e con
ragione. Forse, qui voglio fare qualcosa di buono per rimediare. O forse, questo
mondo è così bello che è un peccato distruggerlo. Non sono una brava persona, ma
potete fidarvi di me. – Parliamo di voi: in questo gruppo non c’è alcun
militare. Ci sono due linguisti, un architetto, un esperto di ambiente oceanico,
due assistenti alla salute, due cuochi, un musicista che ha preferito non
esercitare la propria arte piuttosto che comporre marce militari, un artista e
due mercanti. Siete rappresentanti pacifici di due popoli del medesimo mondo e
della stessa specie. Tutta gente che, per fare il proprio mestiere, ha bisogno
di pace. I pregiudizi reciproci sono serviti a giustificare e alimentare la
vostra guerra feroce. Il mediatore tace e continua a guardare il mare. Poi
domanda: – da quando non parlate a tu per tu con un nemico? Da quando non lo
guardate in faccia? Kodvo e yieda tacciono. Poi tutti scuotono il capo. – Da
sempre, vero? Oggi farete il primo passo per ri-conoscervi. Un anno dopo Alle
spalle della rada di Qlamiashh si scorgono i borghi che formano l’agglomerato di
Pacifica, fondato dalle persone più audaci di entrambi i popoli.
La lunga strada
che si snoda fra loro sale e scende, ombreggiata da alberi e cespugli
trapiantati nelle ultime stagioni. In alcuni borghi, yieda e kodvo vivono gli
uni a fianco degli altri, senza più portare mantelli, in altri la convivenza è
più cauta, ma tutti hanno smesso i panni bruni e indossano bei mantelli colorati
disegnati da buoni artigiani e venduti dai mercanti. L’uso dei traduttori
automatici, perfezionati grazie alla collaborazione dell’alieno e di numerosi
linguisti, si è diffuso in entrambi i continenti. Ora, i traduttori stanno
incorporando i numerosi dialetti delle aree periferiche, una faccenda che ha
affascinato Thukse e Lelish, il collega yieda. Le cose procedono ufficiosamente,
grazie al fatto che i dirigenti militari e i rappresentanti politici di entrambi
i popoli sono rimasti ai margini, controllando senza esagerare. C’è solo da
augurarsi che le cose continuino così. È passato tempo sufficiente perché il
linguista kodvo osi farsi avanti. Ed è ciò che fa in un pomeriggio autunnale
ancora tiepido e pieno di colori. – Ci sono un paio di cose che devo dirti,
amico mediatore. La prima è: che ne diresti di semplificare le cose a tutti noi
assumendo un nome, non necessariamente il tuo, per farti indicare più
comodamente? La seconda è: adesso che la situazione è molto migliorata, mi
insegneresti la tua lingua? Dopo un po’ di sorrisi e suoni ansimanti, l’altro
annuisce. – Nome eh? Va bene, me lo cercherò. Comunque, voi linguisti avete
tutti la medesima testa. Ieri me l’ha chiesto Lelish, ora tu, a seguire mi
aspetto i vostri rispettivi collaboratori. So che morite dalla voglia di sapere
di più sulla mia lingua e sul mio mondo. Ciò che ti dico non deve girare, mi
spiego? Il mio pianeta è molto lontano e orbita intorno a una bella nana gialla.
Si parlano moltissime lingue su quel mondo e si dà il caso che io ne conosca un
bel po’. Solo per insegnarvi quelle, avrei lavoro assicurato per anni e anni.
Che ne dici della mia proposta? Poi si congeda con un gesto tipicamente kodvo, e
se ne va.
FINE.