Ecco il risultato la mia chiacchierata con Piero Schiavo Campo, il vincitore dell'ultimo Premio Urania con il romanzo L'Uomo a Un Grado Kelvin. Quest'intervista esce in contemporanea sia su Nocturnia che su IFET
Ringrazio il mio intervistato per tutto quanto.
Nick: Ciao Piero, benvenuto di vero cuore su Nocturnia, grazie per aver accettato quest'intervista. Ti andrebbe di presentarti ai lettori di questo blog?
Piero Schiavo Campo: Dopo la laurea ho avuto una borsa di studio del
CNR, a
Bologna. Mi occupavo di astrofisica. Nel 1981 ho lasciato la ricerca per passare al software. Detto per inciso: qualcuno ha scritto che sono uno “scienziato”. Non è vero. Uno scienziato è un signore che si occupa professionalmente di ricerca scientifica, cosa che io non faccio da più di trent’anni; però sono sempre un grande appassionato di scienza: l’unica rivista che compro tutti i mesi è “
Scientific American”, e i saggi scientifici della mia biblioteca occupano quattro scaffali “
Billy”. Forse ti domanderai come mai ho deciso di abbandonare la scienza attiva. E’ un discorso molto lungo, e anche difficile. Ti dirò che non rimpiango quella scelta. In fin dei conti sono stato un testimone diretto di quella che personalmente considero la più grande rivoluzione culturale che sia avvenuta nella storia (parlo della rivoluzione informatica). In questo momento la mia attività principale è l’insegnamento. Dal 2004 tengo un corso del primo anno della laurea triennale di Comunicazione e psicologia (qualche anno fa si chiamava Scienza della comunicazione), dove parlo ai ragazzi di Internet e del Web dal punto di vista mediatico.
Come lettore, sono sempre stato “onnivoro”. La fantascienza è stata una mia grande passione da ragazzo; non che mi dispiaccia quella di oggi, ma finisco col leggerne di meno. In particolare, devo confessare di conoscere poco gli autori italiani; sto cercando di recuperare!
Nick: Cos'è per te la Fantascienza e quali autori e quali libri te l'hanno fatta amare? Naturalmente puoi citare qualsiasi altra forma espressiva dalla musica ai fumetti, passando per film e serie televisive.
Piero: La prima domanda mi mette in difficoltà, anche perché amo poco le classificazioni di genere. Quarant’anni fa la definizione sarebbe stata ovvia: fantascienza è qualsiasi fiction basata su presupposti scientifici o tecnologici in qualche modo “possibili” (o meglio “non impossibili”) sulla base delle conoscenze attuali: viaggi nello spazio, viaggi nel tempo, creature aliene, società futuribili ecc. Già a quei tempi, tuttavia, una definizione simile sarebbe sembrata un po’ “stretta”. Ci sarebbe stato dentro, ad esempio, un romanzo come “
Cristalli Sognanti” di
Sturgeon? Se non lo ricordo male (l’ho letto davvero molto tempo fa!) l’autore non spiegava affatto quale fosse l’origine dei cristalli e dei loro fantastici poteri, e il romanzo sembrava essenzialmente un’occasione per fare della narrativa: quasi più una storia fantastica che un vero romanzo di fantascienza. Poi sono venuti i
cyberpunk, gli
steampunk, le
ucronie (non necessariamente in questo ordine), e i confini del genere si sono decisamente ampliati. Credo che in questo momento l’unica definizione possibile sia di tipo “culturale”: è fantascienza qualsiasi fiction che rientri in un genere considerato fantascientifico. Per intenderci, lo steampunk è considerato fantascienza, anche se non si basa (o non necessariamente si basa) su presupposti scientificamente “possibili”. Mi dirai che questa non è una definizione. Forse è vero, ma ha il vantaggio di rendere i confini della fantascienza molto ampi, e per così dire “permeabili”: ogni tanto qualcuno inventa qualcosa di veramente nuovo nel campo del fantastico, e l’opinione comune si orienta a considerarlo “fantascienza”. I veri innovatori del campo sono loro: gli autori capaci di imporre idee nuove grazie alla forza della loro capacità narrativa, come
Jeter per lo
steampunk (ma è stato davvero lui il primo?).
La seconda domanda è più semplice. Il mio interesse per la fantascienza deriva senz’altro dalla mia passione scientifica. Per me, da ragazzo, la fantascienza era un po’ l’anticipazione delle cose meravigliose che l’umanità, nella mia testa, era destinata a scoprire. Ti sto parlando dei primi anni ’60: un epoca in cui quella che oggi è considerata “fantascienza storica” era nelle edicole con
Urania, veniva pubblicata da
Einaudi con “
Le Meraviglie del Possibile” di
Fruttero e Lucentini, emergeva al cinema da capolavori come “
Il Pianeta Proibito”. Autori molto amati? L’
Asimov della prima trilogia sulla
Fondazione (ma non i prequel e i sequel che ha scritto dopo), oppure quello di “
Abissi d’acciaio” (anche nel caso del filone dei robot, secondo me dopo un po’ è diventato ripetitivo); il grande
Arthur Clarke (come dimenticare “
La Città e le Stelle”?); l’
Herbert del primo “
Dune” (i sequel non mi sono piaciuti);
Robert Sheckley (un genio)... La lista sarebbe lunga. Voglio citare solo un titolo, che forse ti sembrerà buffo: “
Il Cittadino Dello Spazio”, film del 1955. E’ stato il primo film di fantascienza che ho visto, da bambino, e mi fece un’impressione enorme. Mi è capitato di rivederlo, recentemente. A distanza di molti anni, devo dire che il background scientifico è del tutto inconsistente, gli effetti speciali fanno ridere, il ritmo è lento. Eppure trovo che ci sia ancora qualcosa di grandioso, perfino epico, in quegli alieni super evoluti che si rivelano incapaci di difendere il loro pianeta dalla distruzione finale.