Americana, nata nel 1960 nello Stato dell' Iowa,oltre ad insegnare nell'Università del Kansas, la Johnson è una delle rappresentanti più autorevoli dell'attuale panorama narrativo dei generi fantasy e Sf statunitense. L'autrice ha anche vinto diversi premi: due volte il Nebula, una lo Hugo e altre due volte il World Fantasy Award (di cui una proprio per il presente La Ricerca Onirica) più numerosi altri.
Ringrazio quindi Kij Johnson per la gentilezza e la disponibilità dimostrata, per la sua simpatia ed anche per aver dovuto combattere col mio pessimo inglese.
A tutti voi quanti auguro invece una Buona Lettura! In fondo alla versione italiana troverete la versione originale in lingua inglese.
(For english version, please scroll down )
Nick: Benvenuta su Nocturnia, grazie per aver accettato l'intervista. la mia prima domanda riguarda quali siano state le tue influenze letterarie, cosa ti ha avvicinato alla latteratura fantastica e per finire: quali sono stati gli scrittori che ti hanno influenzato come lettore prima ancora che come scrittore? Naturalmente puoi inserire anche fumetti e film.
Kij Johnson: Sin da quando ero bambina sono sempre stata una lettrice compulsiva, eti posso dire che io leggo davvero di tutto. Non ero ancora diventata una scrittrice, quindi non analizzavo quello che leggevo, non badavo per niente a cose come lo stile o la plausibilità: mi concentravo totalmente sul fatto di potermi immedesimare in qualunque cosa vedessi. Questo diventava facile quando si trattava di narrativa romantica o avventurosa, mi riferisco a cose come The Scarlet Pimpernel (della Baronessa Orczy) e The Prisoner of Zenda (di Anthony Hope), ma risultava molto più difficile con storie di vita reale come The Scarlet Letter (di Nathaniel Hawthorne) o le opere di James Joyce.
Vivevo in una piccola città dotata di una altrettanto piccola biblioteca, quindi se determinati libri mi erano piaciuti finiva che li rileggevo libri più e più volte. Ho letto un sacco di vecchi romanzi pieni di omicidi misteriosi: Ellery Queen e Agatha Christie e Josephine Tey e Ngaio Marsh. In realtà c'è da meravigliarsi che non abbia finito per scrivere roba mistery ! Amavo ciò che definivo semplicemente come "vecchie" storie, cose come i Racconti di Canterbury di Chaucer o il Beowulf e la versione de Le Mille e una Notte nella traduzione di Burton.
Nick: Il tuo debutto professionale avviene nel 1987, vorrei che tu andassi indietro con la memoria e raccontassi ai lettori di Nocturnia le sensazioni provate in quel momento.
Kij Johnson: È stato molto eccitante, ovviamente! Ho iniziato a scrivere nel 1985, quando mi sono iscritta a un gruppo di scrittori di SF a Minneapolis dietro invito di un vecchio amico del college. Nel gruppo era presente un'altra vecchia amica del college, molto più ambiziosa di me; lei mi ha ispirato a finire le mie prime storie, poi a proporle in giro. Per qualche ragione, nel 1987 ho deciso di candidarmi ai corsi tenuti al Clarion West, e questo significava finire due storie per il pacchetto di applicazioni. Poiché la mia amica era serio a mandare le cose, ho provato a farlo anche io. La mia prima storia è consistita in un brano molto breve, chiamato "Roadkill", alla fine di quella stesura mi ritrovai a provare un profondo orgoglio per il lavoro svolto . Proprio l'anno scorso ho inviato ai miei studenti universitari quel primo testo per mostrare loro che tutti iniziamo da qualche parte, e nel rileggerla mi veniva da ridere e rabbrividire allo stesso tempo. Ad ogni modo, una rivista molto piccola chiamata Tales of the Unanticipated che veniva pubblicata solo una volta ogni nove mesi me la comprò, pagandomela un quarto di centesimo a parola. L'assegno totale fu qualcosa come otto dollari.
Nick: Se non sbaglio hai lavorato anche per la Dark Horse Comics e per Wizard of the Coast, raccontaci di queste esperienze.
K.J. : Ho lavorato in entrambi i posti! Il mio compito per la Dark Horse è stato quello di editor per raccolte e graphic novel , il che significa l'aver avuto la possibilità di lavorare prima o dopo su tutti i personaggi (1) di proprietà della Casa Editrice. Brian Gogolin è stato il mio designer per le collezioni ed è stato fantastico. A Wizards of the Coast / TSR ci ho lavorato molto più a lungo, e ho ricoperto molti più incarichi : redattrice di saggi, capo gruppo R&D, responsabile per la continuity di Magic: The Gathering, direttrice creativa dell'ambientazione di Greyhawk per AD & D e per l'universo di Forgotten Realms, e infine sono diventata una managing editor role and responsibilities per la TSR. Si è trattato di un lavoro esaltante, mai noioso.
Nick: Alcune tue opere, penso in particolare a The Fox Woman (2000) e Fudoki (2003) sono ambientate nel Giappone Medievale, cosa ti attrae in quel periodo storico?
K.J.: Il periodo Heian del Giappone, durato più o meno dal IX al tardo XII secolo, ha rappresentato forse l'unico momento storico in cui le donne sembrano aver dominato la letteratura. Gli uomini scrivevano memorie e altre opere in un goffo linguaggio ibrido giapponese-cinese; mentre le donne scrivevano i primi romanzi del mondo, memorie tenere e argute, storie di ogni tipo. Mi sono innamorata di quel periodo, grazie al libro Note del Guanciale ( I Racconti del Cuscino) della irritante ma spiritosa Sei Shonagon, che mi ha portato alla lettura del brillante testo di storia culturale scritto da Ivan Morris che analizzava quel periodo,intitolato The World of the Shining Prince. Nel corso degli anni successivi, ho letto tutte le traduzioni disponibili in inglese o francese delle opere principali di quel periodo ed anche molte opere secondarie, compreso un intero libro sulle varietà di rododendro conosciute nel 13 ° secolo
Stranamente, questo non ha nulla a che fare con la mia scrittura, ma nel 1987, durante la mia permanenza al Clarion West, per un certo periodo sono stata alla disperata ricerca dell'ispirazione per una storia da scrivere , quindi mi sono concentrata sull'argomento da cui da diversi anni ero ossessionata, grazie a quello sono riuscita a comporre un racconto, intitolato"Fox Magic", che, a sua volta, è servito come ispirazione per il successivo The Fox Woman.
Nick: Più in generale quanto è importante per te e per il tuo lavoro il lavoro di ricerca storica?
K.J: Sono laureata in Storia, il che significa che l'insegnamento convenzionale della letteratura inglese rappresenta una vera sfida per me! Quando ero piccola, leggevo la storia esattamente nello stesso modo in cui leggevo fantasy o fantascienza, cercando di immaginare come fosse realmente il mondo descritto nel libro. I miei fantasy - quando scrivo cose che potrebbero essere convenzionalmente definite come fantasy sono quasi sempre frutto di ricerche approfondite. Anche una storia molto breve e surreale come "Mantis Wives", che è lunga meno di mille parole, ha richiesto settimane e settimane di ricerche.
Nick: Leggendo le cose che scrivi, mi sembra che per te l'inizio, l'incipit sia una componente fondamentale per la riuscita di un racconto o di un romanzo. E' una sensazione sbagliata la mia?
K.J: Sono completamente d'accordo con questo. L'inizio di una storia deve fare molte cose: iniziare quel'incantesimo che ci procura l'esperienza dell'immergersi nella lettura; dare al lettore le istruzioni nascoste su come leggere la storia (Si tratta di fantascienza? Si tratta di fantasy? E' la storia di un determinato personaggio? E'una storia d' azione?); ed infine incorporare i temi della storia in modo che possano essere decodificati in seguito.
Nick: Nel 2011 col tuo romanzo breve "The Man Who Bridged the Mist", vinci sia il Nebula che lo Hugo. "The Man Who Bridged the Mist" è un opera molto interessante che finisce per parlare di un mondo senza religione. Mi sembra che il rapporto dei tuoi personaggi con le religioni sia una costante delle tue opere. Ti ritrovi con questa definizione?
K.J: Sono stata cresciuta da un uomo che aveva conseguito la laurea in fisica prima di andare al seminario e diventare un pastore luterano. Aveva un approccio alla fede stranamente razionale, e fino ad oggi non sono nemmeno sicura se davvero credesse in Dio. Una volta mi ha detto che non gli importava di quello in cui io finissi per credere, purché ci ragionassi sopra. Sono cresciuta leggendo (ma, devo ammetterlo, senza comprenderli) gli scritti religiosi di Kierkegaard e C.S. Lewis, e gran parte della mia vita interiore come adulta è stata una riflessione filosofica sulla fede, la religione e il soprannaturale. Non ne scrivo quasi mai, perché alla fine delle mie riflessioni mi sono scoperta atea. Il mondo in cui è ambientato "The Man Who Bridged the Mist" è un mondo senza dei o religione, ma il mio obiettivo principale era quello di ambientare la vicenda in un mondo in cui il genere fosse irrilevante. L'ateismo si è semplicemente insinuato lì dentro.
Nick: La natura della Nebbia nel romanzo non viene chiarita definitivamente. Ti piace lasciare nel dubbio i lettori o preferisci che ogni lettore si faccia le sue idee in proposito?
K.J: Bene, io pensato molto attentamente alla cosa - la Nebbia del romanzo è una schiuma organica monocellulare con un ecosistema limitato ma vitale - ma Kit (2) non è un personaggio in grado di saperlo, o di poterlo curare, quindi non lo dico al lettore. In effetti, ci sono persone nella capitale che stanno studiando la nebbia; Kit però è un ingegnere e quello che gli interessa è come attraversarla, non quello che è. Mi infastidiscono molto quelle storie in cui il desiderio dello scrittore di mostrare a tutti i costi la sua bravura nel worldbuilding finisce col fargli rivelare al lettore quelle cose che perfino il personaggio protagonista non commenterebbe.
Nick: In Italia è stato recentemente tradotto il tuo The Dream-Quest of Vellitt Boe, una rivisitazione delle classiche opere di H.P.Lovecraft. Possiamo dire che scrivere La Ricerca Onirica di Vellitt Boe ha rappresentato il tuo modo di rappacificarti (anche come lettrice) con l'opera di H.P.Lovecraft?
K. J: Questo è esattamente quello che ho fatto! Ho adorato The Dream-quest of Unknown Kadath (mentre ho apprezzato meno altre storie di Lovecraft), ma mi ha anche lasciato profondamente a disagio. Il modo ininterrotto e contorto del suo continuare a parlare dei "grassi schiavi neri di Parg", la maniera in cui più volte descrive le persone disgustose attribuendo ad esse dettagli ebraici e musulmani - anche da bambina, quando non conoscevo nessuno che non fosse di discendenza Nord Europea, mi risultava pesante da leggere.
Eppure è rimasto e rimane ancora oggi un pilastro fondamentale dei canoni del weird e dell' orrore. Perché? Volevo ragionarci su, ma non rileggerlo ancora. Volevo vedere come sarebbe stato scrivere di quel mondo senza quella visione del mondo.
L'edizione italiana di The Dream Quest of Vellitt Boeby Edizioni Hypnos. |
K.J: In lei c'è davvero molto di me ! Beh, una me stessa molto idealizzata comunque. Ho iniziato a praticare cose come l'arrampicata su roccia a 46 anni, e mi infastidisce il fatto che molte persone credono che possa esistere un unico percorso di vita per le donne di 46 anni, un percorso che coinvolge vestiti sciatti, lavori a maglia e club del libro. A 50 anni, ho deciso che avevo bisogno di una nuova carriera, una carriera sensata che mi avrebbe dato da mangiare e mantenuto nella mia vecchiaia, e ho scelto il mondo accademico. Questa è stata senz'altro una decisione saggia, ma mi mancavano i miei 20 anni selvaggi, i miei mancati 30 anni e i miei 40 anni da alpinista. Vellitt è senza dubbio una viaggiatrice migliore di me
Nick: Nel corso del romanzo si parla spesso del rapporto tra Libertà e Dovere e tra diritti della comunità e diritti dei singoli (Vellitt Boe insegue la sua studentessa fuggitiva perché sa che questo potrebbe rovinare il sogno di una accademia gestita da donne pur sapendo che questo potrebbe distruggere i sogni della studentessa stessa). Per la seconda volta ti chiedo se è una ricostruzione sbagliata la mia
K.J: Questa è una buona idea di base per descrivere quello che ho fatto. Una storia è sempre più interessante se le persone devono scegliere tra due cose, invece di avanzare sull'unico percorso corretto (un po come fa Frodo ne Il Signore degli Anelli, una volta che lascia la Compagnia). Vellitt deve scegliere tra i bisogni dei molti e i bisogni di una singola persona, e di conseguenza Clarie Jurat - una giovane donna all'apice di una vita interessante - si troverà a dover prendere la stessa decisione. Nessuna delle due avrebbe dovuto trovarsi ad affrontare una scelta del genere, eppure entrambe finiscono con l' essere risarcite per la decisione presa.
Nick: Una domanda personale, se non sbaglio nella realtà Velitt Boe e Jurat sono stati i nomi dei tuoi gatti. Tu ami molto i felini ed hai inserito un gattino nero anche tra i personaggi de La Ricerca Onirica, dal momento che tra i lettori di Nocturnia ci sono molti amanti degli animali-se ti va- vorrei che tu ci parlassi del tuo rapporto con i gatti e ci raccontassi del perché li apprezzi tanto.
K.J: Ho dato quei nomi ai miei gatti solo dopo che avevo già battezzato i personaggi delle mie storie! Vellitt era una piccola gattina nera molto affascinante, una trovatella. È rimasta senza nome per oltre un anno, anche quando stavo iniziando a lavorare su Vellitt Boe, e ad un certo punto, per ragioni che non ricordo, quello è diventato il suo nome. L'ultimo gatto, un gatta in bianco e nero ugualmente piccola, ugualmente affascinante (ma abbastanza diversa), si chiama Clarie Jurat perché ho deciso che non avrei aspettato un anno intero prima di darle un nome.
Non sono così sicura riguardo ai miei sentimenti sui gatti. Durante i miei primi quarant'anni ho sempre preferito i cani. Quando nel 2003 ho scritto il mio romanzo Fudoki l'ho fatto perché non apprezzavo affatto i gatti, anche se ne avevo già uno, un gatto tartarugato sulle cui fattezze ho impostato Kagaya-hime (3) . Ho dovuto fare molte ricerche e nel frattempo ho deciso che i gatti mi piacevano. E dopo è arrivata Vellitt -ti ho già detto che era affascinante? - e così adesso sono una specie di gattofila convertita.
La statua utilizzata fino al 2015 come trofeo del World Fantasy Award con l'effige di Lovecraft |
Nick: Recentemente ci sono state molte polemiche sulla figura di H.P.Lovecraft, polemiche che hanno finito per coinvolgere anche il World Fantasy Award con la sostituzione delle statuette dei trofei. Qual'è la tua opinione in proposito?
K.J: Non ho molto da dire in proposito, anche se sono contenta della sostituzione della statuetta. Così com'era il trofeo non era solo problematico, era anche brutto. :-)
Nick: Più in generale, qual è la tua idea personale sua figura e sulle opere di H.P.L?
K.J: A questo Penso di aver già risposto prima!
Nick: Pensi di dare un seguito a La Ricerca Onirica di Vellitt Boe o per te si tratta di una esperienza conclusa qui?
K.J: Ho pensato a un possibile sequel. Quando stavo scrivendo Vellitt Boe, ho letto altri romanzi d'avventura con donne come protagoniste, tra cui le aventure di Alyx scritte da Joanna Russ. La storia di Alyx si interseca con altre opere canoniche del fantasy, oltre che sfociare nella fantascienza pura(verso la fine), e volevo approfondire il meccanismo. Certamente, Vellitt ha tutte le risorse per vivere altre avventure, trovare altri alleati e possiede anche un meccanismo per spostarsi da un posto all'altro (la scala che vediamo verso la fine). Dove mai potrebbe andare? Heorot (4) ? La Terra Cava? L'isola del dott. Moreau?
Il nuovo Trofeo del W.F. Award assegnato dal 2017 dopo le polemiche sul razzismo vero o presunto di HPL |
Nick: Nel corso della tua carriera hai ottenuto diversi riconoscimenti: il World Fantasy Award (due volte: nel 2008 per "26 Scimmie, ovvero l' Abisso" e nel 2017 per "La Ricerca Onirica di Vellitt Boe") tre volte il Nebula ("Spar" nel 2010, "PONIES" nel 2011 e nel 1012 per "The Man Who Bridged the Mist") e lo Hugo (sempre per "The Man" ). Quanto ritieni che siano importanti i premi per la carriera di un autore?
K.J: È stato un grande onore vincere tutti questi premi. Non so se i premi facciano variare le vendite dei miei libri (un editor della casa editrice Tor una volta mi ha detto di no), ma è meraviglioso avere la conferma del fatto che le mie storie possano piacere a diverse persone.
Nick: Tra tutti i romanzi e racconti da te scritti, quali consiglieresti ai lettori italiani come esemplificativi della tua narrativa?
K.J: "26 Scimmie, ovvero l' Abisso" è stata la prima storia nella quale ho davvero potuto sperimentare e ne sono davvero felice. Penso che le recenti"Tool-Using Mimics" e "The Privilege of the Happy Ending" siano due buone storie, una breve e una lunga. "Fox Magic" è una storia semplice e diretta, la prima storia della mia carriera, che mi abbia mai fatto vincere un premio, lo Sturgeon Award. Sono tutte disponibili online.
Nick: Progetti futuri: a cosa stai lavorando e cosa ci dobbiamo aspettare da Kij Johnson?
K.J: Sto iniziando a lavorare a un seguito di The River Bank - che, a sua volta, è stato un sequel de Il Vento tra i Salici, il classico romanzo inglese per bambini scritto da Kenneth Grahame. Sto anche terminando una riscrittura su un romanzo erotico realista, che dovrebbe uscire l'anno prossimo. E a parte questo, ho un sacco di idee interessanti che mi prenderanno un po' di tempo per poterle sviluppare.
Nick: Bene Kij è tutto, ti ringrazio ancora per esserti sobbarcato questa lunghissima intervista. Ti saluto rivolgendoti la classica domanda finale di Nocturnia: esiste una questione di cui avresti parlato volentieri, una domanda a cui avresti risposto con piacere e che io invece non ti ho rivolto?
K.J: No, questa è stata una gran bella intervista! Alcune delle domande che mi hai fatto credo che non mi siano mai state rivolte prima, e questa è sempre una cosa molto piacevole.
NOTE:
(1) In originale il termine utilizzato è IP cioè Intellectual Property (Proprietà Intellettuali)
(2) Kit è il protagonista de The Man Who Bridged the Mist
(3) Il gatto protagonista di Fudoki
(4) La fortezza dove viene ambientata la prima parte del poema epico Beowulf, Heorot però è anche il titolo di un ciclo di romanzi di fantascienza scritti da Jerry Pournelle e Larry Niven.
INTERVIEW WITH KIJ JOHNSON - THE ENGLISH VERSION!
Today's interview is dedicated to the great Kij Johnson , she is one of the current masters of the Americans fantasy and science fiction literature. Johnson has won numerous awards, such as Hugo, twice the Nebula and twice the World Fantasy Award (one for the novel The Dream Quest of Vellitt Boe, recently translated in Italy) for the occasion she enthusiastically accepted to make this Interview speaking readers to Nocturnia of her life, her works and her literary career.
I thank Kij for her kindness and for her availability. For those wishing to deepen HERE is the Kij Johnson's personal blog
To all the readers I wish you good reading, waiting for your comments.
Nick: Welcome to Nocturnia, thank you for accepting the interview. my first question is what were your literary influences, what brought you closer to the fantastic dairy and finally: what were the writers who influenced you as a reader even before as a writer? Of course you can also insert comics and movies
Kij Johnson: I was a compulsive reader as a child, and I read everything. I wasn’t a writer yet, so I didn’t analyze what I read, for anything like style or plausibility: it was all about whether I could imagine myself into whatever I saw. This was easy with romantic adventure fiction, things like The Scarlet Pimpernel (by Baroness Orczy) and The Prisoner of Zenda (by Anthony Hope), a lot harder with real-life stories like The Scarlet Letter (by Nathaniel Hawthorne) and James Joyce.
I lived in a very small town with a very small library, so I read books repeatedly if I liked them. I read a lot of older murder mysteries – Ellery Queen and Agatha Christie and Josephine Tey and Ngaio Marsh. It’s actually a wonder that I didn’t end up writing mysteries! I loved what I only defined as “old” stories, things like Chaucer’s Canterbury Tales and Beowulf and the Burton translation of The Thousand Nights and One Night.
Nick: Your professional debut occurs in 1987, I'd like you go back with the memory and tell to the Nocturnia readers the feelings experienced at that time.
Kij Johnson: It was very exciting, of course! I started writing in 1985, when I joined a SF writing group in Minneapolis because an old college friend invited me. Another college friend was in the group, much more ambitious than I was; she inspired me to finish my first stories, then to send them out. For some reason, I decided to apply to Clarion West for 1987, and that meant finishing two stories for the application packet. Because my friend was serious about sending things out, I tried to do so, as well. My first story was a very short piece, called “Roadkill,” and I was proud as punch of it. I sent it to my grad students last year to show them that we all start somewhere, and rereading it made me alternately laugh and cringe. Anyway, a very small magazine that only published every nine months bought it, called Tales of the Unanticipated, for a quarter-cent a word. The check was something like eight dollars.
Nick: If I'm not mistaken you have also worked for the Dark Horse Comics and for Wizard of the Coast, tell us about these experiences.
K. J: I have worked both places! I was collections and graphic novels editor for Dark Horse, which meant I got to work with every IP we had, sooner or later. Brian Gogolin was my designer for the collections, and he was fantastic. I was at Wizards of the Coast/TSR for a lot longer, and did a lot more things: nonfiction editor, R&D group lead, Magic: The Gathering continuity director, creative director for the Greyhawk setting of AD&D,and the Forgotten Realms, and finally setting up a managing editor role and responsibilities for TSR. It was exhilarating work, never boring.
Nick: Some of your works, I'm thinking in particular about The Fox Woman (2000) and Fudoki (2003) are set in Medieval Japan, what does attract you in that historical period?
K.J: Japan’s Heian period, more or less the 9th through late 12th centuries, was perhaps the only period in history where women seem to have dominated literature. Men were writing memoirs and other works in a gawky Japanese-Chinese hybrid; women were writing the first novels in the world, tender and witty memoirs, tales of every sort. I fell in love with the period, because of the Pillow Book of the snarky, witty Sei Shōnagon, which led me to Ivan Morris’s brilliant cultural history of the period, The World of the Shining Prince. Over the next few years, I read every available English or French translation of work from the period, and many secondary works, up to and including an entire book about rhododendron varieties known in the 13th century.
Weirdly, this had nothing to do with my writing, but in 1987, when I was at Clarion West, I was desperate for a story idea, so I turned to the topic I had been obsessing about for years, and wrote a short story, “Fox Magic,” which was the inspiration for The Fox Woman.
Nick: More in general how important is the historical research work for you and your work?
K.J: My undergraduate degree was history, which means that teaching conventional English lit classes is a real challenge for me! When I was a child, I read history exactly the same way I read fantasy or science fiction, trying to imagine what the lived-in world of the book actually looked like. My fantasy – when I write things that look like conventional fantasy are almost always deeply researched. Even a very short, surreal story like “Mantis Wives,” which is less than a thousand words, took weeks and weeks to research.
Nick: By reading the things you write, it seems to me that for you the beginning, the incipit is a fundamental component for the success of a story or a novel. Is it my feeling wrong?
K.J: I absolutely agree with this. The start of a story has to do many things: start the enchantment that is the immersive reading experience; give the reader covert instructions in how to read the story (Is this science fiction? Is this fantasy? Is this a story of character? Action?); embed the story’s themes in a way that they can be later decoded.
Nick: In 2011 with your short novel "The Man Who Bridged the Mist", you win both Nebula and Hugo prize. "The Man Who Bridged the Mist" is a very interesting work that ends up to talk about a world without religion. It seems to me that the relationship of your characters with the religions is a constant of your works. Do you find yourself with this definition?
K.J: I was raised by a man who had gotten a physics degree before he went to seminary and became a Lutheran pastor. He had a strangely rational approach to faith, and to this day, I am stll not sure whether he actually believed in God. He once told me that he didn’t care what I ended uop believeing, so long as I had thought it through. I grew up reading (but, I have to admit, not understanding) Kierkegaard and C.S. Lewis’s religious writings, and much of my adult inner life has been a philosophical consideration of faith, religion, and the supernatural. I hardly ever write about it, because in the end, I find myself an atheist. The world the “The Man Who Bridged the Mist” is set in is a world without a gods or religion, but my primary goal was to write a world where gender is irrelevant. The godlessness just crept in there.
Nick: The nature of the Mist in the novel is not definitively clarified. Do you like to leave readers in doubt or do you prefer each one reader makes his own ideas about it?
K.J: Well, I have thought it out very carefully – it is a monocellular organic foam with a limited but viable ecosystem embedded – but Kit is not a character who would know that, or care, so I don’t tell the reader. In fact, there are people at the capital who are researching mist; but Kit’s an engineer and what he cares about is how to cross it, not what it is. I get really annoyed by stories where the writer’s desire to show off his cleverness in worldbuilding makes him tell the reader things the character wouldn’t comment on.
Nick: In Italy it was recently translated your The Dream-Quest of Vellitt Boe, a review of the classic works of H.P.Lovecraft. Would we say that writing The Dream-Quest of Vellitt Boe represented your way to reconcile yourself (also as a reader) with the work of H.P.Lovecraft?
K.J: That is exactly what I was doing! I loved The Dream-quest of Unknown Kadath (other Lovecraft stories less so), but he made me uncomfortable. The endless, squirmy way he goes on and on about “the fat black slaves of Parg,” the ways he repeatedly marks his toad people with Jewish and Muslim details – even as a child, when I didn’t know anyone who was anything but Northern European in extraction, this was hard to read.
And yet he remained and remains a central part of the Weird and horror canons. Why? I wanted to think about that, but not be rereading him yet again. I wanted to see what it looked like to write in that world without that world-view.
Nick: How did you include yourself in the character of Professor Vellitt Boe?
K.J: She is very much me! Well, an idealized me, anyway. I started rock climbing at 46, and I would get annoyed that people assumed that there was a single life-path for 46-year-old women, a path that involved frumpy dresses and knitting and book clubs. At 50, I decided I needed a new career, a sensible career that would keep me fed and housed into old age, and I picked academia. This was undoubtedly a wise decision, but I missed my wild 20s, and my misspent 30s and my climbing 40s. Vellitt is a better traveller than I am!
Nick: In the course of the novel we often talk about the relationship between freedom and duty and between the rights of the community and the rights of individuals (Vellitt Boe chases his fugitive student because he knows that this could ruin the dream of an academy run by women even knowing that this could destroy the dreams of the same student). For the second time I ask you if my reconstruction is wrong.
K.J: That is a good take on what I am doing. A story is always at its most interesting if people are having to choose between two things, instead of just marching forward on the only correct path (as Frodo does in The Lord of the Rings, once he leaves the Fellowship). Vellitt has to choose between the needs of the many and the needs of the one, and then Clarie Jurat – a young woman on the cusp of an interesting life – has to make the same decision. Neither of them having to make such a choice, and yet they each find compensations for the choice they do make.
Vellitt, the black cat (from Ulthar?) |
Nick: A personal question, if I'm not mistaken in reality Velitt Boe and Jurat were the names of your cats. You love felines a lot and you have included a black kitten also among the characters of The Dream-Quest, since among the readers of Nocturnia there are many animal lovers-if you want- I would like you to talk about your relationship with cats and to tell us why you appreciate them so much.
K.J: I named my cats after the characters in the stories! Vellitt was a small, very charming black cat I got as a rescue. She went without a name for over a year, even as I was starting work on Vellitt Boe, and at some point, for reasons I can’t recall, that became her name. The latest cat, an equally small, equally charming (but quite different) black-and-white cat, is named Clarie Jurat because I decided I wasn’t going to wait a full year before I named her.
I am not sure what it is about cats. I preferred dogs through into my forties. I wrote the 2003 novel Fudoki because I didn’t understand cats at all, even though I had one, a tortoiseshell cat that Kagaya-hime is based on. I had to do a lot of research and in the midst of that, I decided cats were fine. And then I got Vellitt – did I mention she was charming? – and now I am sort of a cat convert.
Nick: Recently there have been many controversies on the figure of H.P.Lovecraft, controversies that have also ended up involving the World Fantasy Award with the replacement of the trophies statuettes. What is your opinion about it?
K.J: I don’t really have much to say here, though I am glad they did replace it.– the award was not only problematic, it was also ugly. :-)
Nick: More in general, what is your personal idea of his figure and on the works of H.P.L?
K.J: I think I answered this one earlier!
The Italian magazine Hypnos # 8 which includes the tale of Kij Johnson "26 Monkeys, Also the Abyss" |
K.J: I have been thinking about whether a sequel is possible. When I was writing Vellitt Boe, I read other adventure novels featuring women, including the Alyx stories by Joanna Russ. Alyx’s story intersects with other canonical fantasy works, as well as entering science fiction (eventually), and I wanted to explore hos she did it. Certainly, Vellitt has all the resources to have other adventures, antertaining allies, and a mechanism to move from place to place (the staircase we see toward the end). Where would she go? Heorot? The Hollow Earth? The Island of Dr. Moreau?
Nick: You won several awards during your career: the World Fantasy Award (twice, in 2008 for "26 Monkeys, Also the Abyss" and in 2017 for "The Dream-Quest of Vellitt Boe"), three times the Nebula ( "Spar" in 2010, "PONIES" in 2011 and in 1012 for "The Man Who Bridged the Mist" and Hugo (also for "The Man). How important are in your opinion the awards for an author's career?
K.J: It was a great honor to win all these awards. I don’t know if it makes a difference to my sales (a Tor editor once told me it did not), but it is wonderful to have validation that some people like my stories.
Nick: Among all the novels and stories written by you, which would you recommend to Italian readers as examples of your narrative?
Kij Johnson: “26 Monkeys, Also the Abyss” was the first story I got really experimental on, and I am really happy with it. I think “Tool-Using Mimics” and “The Privilege of the Happy Ending” are two good recent stories, one short and one long. “Fox Magic” is a simple, straightforward story, ther first story I ever won an award for, the Sturgeon Award. They’re all available online.
Nick: Future projects: what are you working on and what should we expect from Kij Johnson?
Kij Johnson: I am starting a sequel to The River Bank – which was a sequel to The Wind in the Willows, the English children’s classic by Kenneth Grahame. I am also finishing a rewrite on a realist erotic novel, which should be out next year sometime. And apart from that, I have a lot of interesting ideas I want a little time to develop.
Nick: Well Kij thats all, thank you again for having taken on this long interview. I greet you addressing the classic final question of Nocturnia: there is a question you would have gladly talked about, a question that you would have answered with pleasure and that I did not ask you?
Kij Johnson: No, this was a great interview! I don‘t think I have ever seen some of these questions, and that is always really fun.
16 commenti:
Bellissima Intervista e risposte davvero interessanti e di spessore. L’unica cosa che ho in comune con questa brava autrice è che anch’io ho letto molto di Kierkegaard. Buona serata.
sinforosa
Ha un grande spirito quest'autrice, d'altra parte non si diventa arrampicatori di rocce a più di 40 anni per caso! Un profilo molto interessante, mi ha incuriosito in particolare la dissertazione sul dominio delle donne nella letteratura giapponese del IX-XII secolo.
Comunque Kierkegaard è un bel mattone :D
@ sinforosa c
Di Kiekegaard a suo tempo lessi cose come "Diario di un Seduttore", non è che mi sia piaciuto più di tanto però sono disposto a rileggerlo, può essere che questa intervista ed i vostri pareri mi spingano a rileggerlo.
@ Riccardo Giannini
La Johnson è davvero un personaggio interessante, decisamente uno spirito libero ed in narrativa sopratutto in generi come la fantascienza e il fantasy.
Complimenti per la lunga intervista. Io mi trovo in difficoltà quando devo fare una sola domanda su Twitter ad autori di comics.
Forte l'esperienza alla Dark Horse e alla Wizard.
Mi ha incuriosito molto anche la faccenda del padre e le ha detto la cosa più giusta, credi a ciò che vuoi purché ci ragioni.
@ Emanuele Di Giuseppe
Ti svelo un segreto: all' inizio avevo anche io timore di fare domande. Ancora oggi capita qualche volta di provare un poco di imbarazzo quando incontro qualche autore di persona.
Riguardo alla Johnson credo davvero che suo padre fosse una persona molto intelligente.
Praticamente la Johnson ti ha definito una specie di re degli intervistatori! Un buon punto da segnare nel tuo curriculum vitae :-)
@ Ivano Landi
Sono cose che mi danno enorme soddisfazione e, lasciando da parte la modestia per una volta non è stata nemmeno la prima dei miei intervistati a dirmelo. ;)
Peccato che le aziende italiane quando si tratta di assumere non guardino a queste cose.
;)
Bel colpo Nick! Tutto interessante e un'ospite davvero simpatica! Mi pare però di capire che, Hypnos a parte, non sia mai stato tradotto niente della Johnson in Italia.
@ Obsidian M
Se non ricordo male,si queste dovrebbero essere le prime traduzioni italiane di opere della Johnson. Magari ci saranno uno o due racconti su qualche antologia ma al momento non mi vengono in mente.
Strano che apprezzi di più il Kadath delle altre opere di Lovecraft, in genere è il contrario. Pur essendo un amante del fantasy, è uno dei lavori di Lovecraft che mi è piaciuto di meno. Tra l'altro lo stesso Lovecraft verso la fine si stancò di quel tipo di storie.
Trovo invece il suo parere sulla questione H.P.L. a dir poco sconcertante. La statuetta è brutta, concordo, ma per il resto... Mi fanno cadere le braccia 'sti americani e la pretestuosità di certi argomentazioni. Ricalca poi la questione della statua di Cristoforo Colombo. Confesso che da quel punto in poi ho smesso di leggere l'intervista.
Con questa autrice condivido l'interesse per l'epoca Heian (e cultura giapponese in generale). Le "Note del guanciale" di cui accenna nell'intervista le ho lette, come pure altre opere minori di quel periodo.
@ Marco Lazzara
La questione in America ha profondamente spaccato in due l'ambiente degli scrittori e degli operatori, la Johnson, anzi è stata una tra le persone che ha espresso opinioni più soft rispetto a tanti colleghi delle due fazioni.
Lovecraft indubbiamente era una persona che soffriva di molte idiosincrasie, comprese alcune posizioni che oggi potremmo definire indubbiamente come razziste.
Tuttavia, secondo me, quello che è mancato negli USA in proposito è stata una discussione seria, cioè -un poco come quello che è accaduto più recentemente con il #metoo- una occasione mancata per discutere a fondo e senza preconcetti dei cambiamenti avvenuti nella società americana a cavallo tra gli anni di H.P.L ed i nostri tempi.
Invece spesso sia i colpevolisti che tra gli innocentisti si è partiti da posizioni volutamente contrarie al dialogo. Si è dimenticati ad esempio, che H.P.L è stato sposato con una donna di religione ebraica, che diversi amici dello scrittore fossero dichiaratamente anche loro ebrei, ed uno -Samuel Loveman omosessuale senza che lo scrittore avesse mai dimostrato fastidio nei loro confronti. Si sarebbe potuto contestualizzare l'epoca in cui viveva, il fatto che provenisse da una famiglia problematica, così come si sarebbe potuto e dovuto provare a capire se quelle di H.P.L fossero solo pose letterarie (secondo molti suoi amici di questo si trattava) o vero e proprio razzismo.
Insomma condannare le manchevolezze dell'uomo Lovecraft (ed il razzismo da qualsiasi parte provenga va sempre condannato e combattuto) ma provare a ricordare quanto di buono ha fatto in letteratura.
Se posso aggiungere altro....direi che pur amando molto la prosa e le opere di H.P.L anche io rimango molto a disagio leggendo alcune delle cose che ha scritto.
@ Ariano Geta
Io le ho conosciute con molto ritardo, ma è un limite mio dal momento che la cultura orientale l'ho frequentata poco, lo ammetto. ;)
Mettiamo che io scriva un romanzo ambientato nell'antica Roma. Il mio protagonista trova normale trattare gli schiavi come oggetti. Questo rende me scrittore favorevole allo schiavismo? No, semplicemente calo il mio personaggio nella realtà sociale dell'epoca. Potrei fare il contrario, ma allora sarei anacronistico oppure di un buonismo non realistico (dipende poi anche dal genere letterario).
Lovecraft è vissuto agli inizi del '900 e - piaccia o non piaccia - la si credeva così, anche negli stati più "illuminati" del nord-est. Quel tipo di considerazioni ci sono state anche dopo, basta ricordare Martin Luther King, e purtroppo perdurano ancora oggi.
Io la trovo una cosa molto pretestuosa, se non ipocrita, cercare un capro espiatorio per sentirsi "rassicurati" del proprio illuminismo. Come facevi osservare tu, un conto è ciò che si scrive, un conto sono le convinzioni della persona. Magari andava fatta un'indagine storica più accurata sulla figura del personaggio. E l'autrice è un'insegnante di storia, che si documenta a ogni racconto o romanzo, per questo resto così perplesso.
@ Marco Lazzara
Ecco quella che è mancata è proprio quel tipo di confronto e di analisi. Tieni presente che stiamo parlando di una società e di un ambiente (quello letterario statunitense) che da un paio di anni sta ridiscutendo del suo passato e del suo presente,eventi dirompenti quali l'irrompere dei "Puppies" nei meccanismi di assegnazione del Premio Hugo hanno fatto si che molti tra scrittori e redattori avviassero una contro reazione.
Quella che è mancata è l'analisi seria,ripeto Lovecraft potrà non piacere come uomo ma si trattava di un uomo del suo tempo con i suoi limiti e difetti, con questo non sto a difenderlo,semplicemente si tratta di prendere atto delle sue luci ma anche delle sue ombre
Piuttosto quello che mi chiedo è come mai riflessioni del genere non si facciano a proposito di anche di scrittori ancora oggi molto esaltati come L. Frank Baum, lui si veramente razzista, che nei suoi scritti invocava pubblicamente al genocidio dei Nativi americani. Certo anche Baum era un uomo del suo tempo, però all'epoca di Baum, c'era comunque già una larga percentuale della popolazione americana che era contraria alle Guerre Indiane. Inoltre Lovecraft nonostante le sue idiosincrasie non ha mai augurato lo strage di nessun popolo.
Nonostante questo comprendo le ragioni della Johnson.
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