"LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO" (1976)- Recensione .

 Attenzione il presente post potrebbe contenere immagini o contenuti che alcuni lettori potrebbero ritenere forti. Le immagini presenti appartengono agli aventi diritto e ai detentori dei copyright. Nel frattempo: BUON 25 APRILE A TUTTI!
 
PREMESSA:

La mia intenzione è ricordare il recentemente scomparso Gianni Cavina, un attore- per me- fenomenale ma non sempre apprezzato quanto avrebbe meritato, nella stessa maniera ho l'occasione di parlare di alcuni lavori davvero fondamentali per il Cinema tout court, quali quelli di Pupi Avati.

 

Bob Tonelli & Gianni Cavina ne "La casa dalle Finestre che Ridono"
 

 Nei primi anni di vita del blog prima di iniziare i miei post ripetevo spesso una premessa, ogni tanto - tipo oggi- mi piace ripescarla, dato l'argomento trattato: chi scrive non è un esperto della materia e non pretende di esserlo, quanto piuttosto un appassionato, quindi quelle che leggerete sono le mie opinioni legittime come le altre, opinabili quanto le altre. Non si tratta di vangelo ma delle sensazioni che il film ha generato in me in quanto spettatore ed appassionato, come tali vanno prese, mi auguro che- da appassionato ad appassionati facciano nascere in chi legge la voglia di vedere o rivedere il film e nel caso di far nascere in voi le vostre di sensazioni e di emozioni.Così come mi auguro di poterne parlare assieme, in questo spazio virtuale o davanti ad una bella birra fredda \ calice di vino\ tazza di caffè fumante fate vobis in base alle vostre preferenze. Niente arricchisce più il cuore e la mente quanto il parlare di cultura, perchè questo è per me: Cultura! Se siete interessati all'argomento vi consiglio di recuperare anche il precedente post. E quello di un paio di anni fa.

SINOSSI: 

 Stefano, un giovanissimo restauratore viene chiamato dal sindaco di un piccolo paese della provincia di Ferrara per occuparsi di un inquietante affresco che da tempo sta marcendo all'interno della locale chiesa.  L'opera in questione, "Il Martirio di San Sebastiano" risulta realizzata da un oscuro pittore locale, un certo Buono Legnani morto suicida, conosciuto anche come il "Pittore delle Agonie", per la sua ossessione nel voler ritrarre uomini e donne in punto di morte, e sul cui nome circolano diverse leggende una più sinistra dell'altra. Stefano affascinato dall'affresco si convince di avere a che fare con il lavoro di un grande artista, ma sembra essere il solo. Gli abitanti del posto sembrano vivere in un costante regime di paura e di omertà, perfino il parroco in più riprese mette in guardia Stefano dal lasciarsi troppo coinvolgere dalla vicenda. In passato Legnani aiutato dalle due sorelle pare essere stato coinvolto in più di un mistero e tante, troppe sono le persone scomparse nel nulla dopo aver incontrato il sinistro trio. Gli unici disposti a voler parlare dei fatti sono Francesca, una maestra anche lei appena arrivata in paese e con la quale Stefano intreccia una relazione, l'amico Antonio ed un bizzarro personaggio chiamato Coppola, proprio quest'ultimo, un nevrotico ed alcolizzato tassista si rivela essere in possesso di informazioni importanti sul passato .  I misteri si moltiplicano e quando Antonio muore improvvisamente dopo aver promesso a Stefano di portarlo a visitare una "Casa dalle Finestre che Ridono" che potrebbe cominciare a dare qualche risposta.la situazione precipita di colpo. Ben presto Stefano si trova precipitato in un vero e proprio vortice di eventi più grandi di lui. Riuscirà a trovare le risposte che cerca? E sopratutto riuscirà a sopravvivere?

IL FILM:

Nell'agosto del 1976, le cronache parlano nello specifico del giorno 16, appena dopo ferragosto, nelle sale del Belpaese veniva distribuito un piccolo film, opera di un regista, non certo debuttante, ma che era ancora alle prime fasi di una carriera che sarebbe stata lunga ed enormemente feconda. Il film era un concentrato di elementi thriller ed horror, fornito di un titolo lungo ma non chilometrico come invece dettava la moda del periodo "La Casa dalle Finestre che Ridono" ed il regista era il bolognese Giuseppe "Pupi" Avati.

 
Il 16 Agosto del 1976, quindi, molto tempo fa, ne è passata tanta di quella proverbiale acqua sotto i ponti e parecchi tra noi all'epoca erano ancora bambini. Eppure non solo quel piccolo film è invechciato benissimo ma non ha perso quasi nulla della sua carica dirompente.

Lo stesso Avati nel corso del tempo ha attraversato molte fasi nella sua carriera di cineasta eppure è uno di quelli (nè tanti nè pochi) che è riuscito sempre a rimanere sempre fedele a sè stesso, con numerosi elementi e temi rimasti costanti, seppur aggiornati, pellicola dopo pellicola. I lunghi silenzi, i detti e non detti, i finali spesso aperti, la fascinazione per un mondo - quello della civiltà contadina con tutti i suoi riti, credenze esuperstizioni- che già nel 1976 si stava avviando verso la sua dissoluzione. L'amore verso il Jazz (non è certo un caso che all'inizio Avati sognasse di diventare un grande musicista e solo l'incontro con un certo Lucio Dalla infinitamente più dotato di lui l'avesse dissuaso dal percorrere quella strada) e-se ci fate caso- molte delle pellicole "avatiane" potrebbero essere confrontate con delle immense partiture musicali con una estrema conoscenza della materia e degli strumenti, una sicura padronanza della tecnica, un percorso tenuto con mano ferma e poi ad un certo punto ma non totalmente inaspettato ( e qui rientra in gioco l'aspetto jazzistico presente anche nella colonna sonora composta dal pianista triestino Amedeo Tommasi) l'apparente improvvisazione , l'elemento dirompente, quella che io -forse sbagliando ma con una voce totalmente personale chiamo "la dissonanza". E la "dissonanza" nei film di Avati è quel momento a volte grottesco, a volte ironico ma che imprime una direzione totlamente diversa alla storia in lì raccontata.

E "La Casa dalle Finestre che Ridono" non fa eccezione.

Quando si parla del Cinema di Pupi Avati non bisogna mai dimenticare il fondamentale apporto del fratello minore Antonio che da sempre si è ritagliato un suo spazio di produttore e di sceneggiatore accanto a Pupi, molte cose non sarebbero state possibili senza la presenza di Antonio Avati. E, per rimanere nello specifico del film,bisogna ricordare anche il contributo alla sceneggiatura dello stesso Gianni Cavina, del giornalista Maurizio Costanzo e alla produzione di Gianni Minervini che allora era il terzo "braccio" della A.M.A Film che produsse la pellicola.

Ma torniamo nello specifico a "La Casa dalle Finestre che Ridono".

Quando ci si riferisce a questo ma anche ad altri film "avatiani" (come "Le Strelle nel Fosso") si parla di Gotico Padano, tutto quel complesso di pellicole a temi grotteschi e perturbanti che forniscono e che tratteggiano una immagine molto diversa da quella solita dell' Emila-Romagna godereccia e disinibita che conosciamo tutti ma che spesso finisce per diventare un mero stereotipo. Quella raccontata in questo caso è una società rurale fatta di leggende e superstizioni contadine, costruita sulla base di paure secolari, animata geograficamente da villaggi isolati perennemente rinchiusi su sè stessi e difficilmente raggiungibili, popolata da indicibili orrori nati tra i canali e tra gli acquitrini del ferrarese, di pittori maledetti che ritraggono vere agonie, di nebbie autunnali e di estati malate, di deviazioni umane partorite all'interno di un humus sociale e territoriale umido ed afoso.
Ma anche di atmosfere appicicaticcie e disperate.

Una realtà decisamente terrena se non proprio terrigna anzi perfino ctonia perchè presente, estremamente visibile ma volutamente ignorata dai più. Perlomeno nelle vicende del film, con poche eccezioni.

Del resto la stessa iniziale ispirazione del film proviene da un avvenimento dell'infanzia del regista allorquando l'esumazione della tomba di un prete fece scoprire dei resti umani diversi da quello che ci si sarebbe aspettati (1).

Gianni Cavina (1940-2022)

 Il "mood" del film è chiaro sin dalle prime inquadrature, anzi sin dalla sigla iniziale virata a tinte rosso sangue con una voce fuori campo (ancora una volta Gianni Cavina) che dovrebbe essere quella di Buono Legnani discetta in maniera sempre più delirante di colori e di quadri mentre un uomo appeso ad una corda viene pugnalato a morte.

Poi c'è l'apparente tranquillità successiva, qualla ingannevole solarità e paciosità che si diceva sopra con l'arrivo di Stefano (un Lino Capolicchio totalmente in parte) nel paese e i suoi primi approcci con la vita del paese. C'è tanta luce, infiniti campi lunghi nella pellicola e di tanto in tanto uno sguardo nella "Bassa", si parla di delle anguille "che sono destinate a non tornare più", dei turisti che si vorrebbe portare e di tante amenità. Poi però c'è il primo elemento rivelatore, l'incontro con l'affresco, il primo approccio con l'opera dello scomparso Legnani che affascina, incuriosisce Stefano ma che al tempo stesso lo inquieta.

Infine ci sono le presenza del luogo, quelle visibili e quelle invisibili.

E' palpabile la paura e la ritrosia dei locali è ancora più palpabile l'ostilità di parecchi tra loro.

Un vero campionario di varia umanità, anzi un "bestiario" di figure di quelle che ci si aspetterebbe di trovare in qualsiasi baretto di provincia, dall'apparentemente pavido prete ( l'americano Eugene Walter, uno scrittore e giornalista d'oltreoceano prestato alla recitazione dopo una seminale collaborazione con Federico Fellini), lo strano chierichetto Lidio (Pietro Brambilla, un nipote di Ugo Tognazzi, che intraprese anche lui una certa carriera come attore) , l'intraprendente sindaco Solmi ( Pietro Brambill Bob Tonelli), il nevrotico amico Antonio ( Giulio Pizzirani) e Coppola il classico "ubriaco del paese" (un immenso Gianni Cavina)

 C'è anche spazio per l'amore, quello meramente fisico con una prima maestra e poi anche quello più profondo con Francesca ( Francesca Marciano).  

Si notano alcuni nomi che saranno ricorrenti nella cinematografia avatiana, alcuni per una fase altri fino alla fine: Cavina alla lunga sarà considerato quasi come il vero "Attore feticcio" del regista bolognese. 

Francesca Marciano e Lino Capolicchio

Ma in misura differente questo può valere anche gli altri: Tonelli, Pizzirani, la Marciano e Capolicchio più tanti altri che si aggiungeranno col tempo si può dire facciano parte di quella che oggi viene chiamata la Factory di Avati e che nei fatti già esisteva, già si cominciava a delineare dai tempi del primissimo film di Avati, quel Balsamus, l'Uomo di Satana  del 1968 girato anche grazie ai finanziamenti messi a disposizione da Tonelli e dalle sue conoscenze (alcune notizie sugli attori di Avati le ho già date QUI). Ma se lo spazio del protagonista è quello del personaggio di Stefano\ Capolicchio perchè rappresenta l'occhio esterno che interviene nel "mondo chiuso" del paese e di conseguenza lo sguardo dello spettatore che assieme a lui scopre i vari segreti è Coppola \ Cavina, lo spaventato, l'iroso Coppola colui che rappresenta la chiave della soluzione agli enigmi. Personaggio profondamente imperfetto ma umanissimo viene reso alla grande dall'attore che lo interpreta. Ho sempre avuto la sensazione che Gianni Cavina (1940-2022) prediligesse interpretare (e si divertisse anche a farlo) figure cariche di difetti e di mancanze, esseri malinconici, magari anche odiosi nelle loro durezze ma nei quali non manca mai il lato umano, quello nel quale anche solo per un istante chiunque si può riconoscere e questo vale sia per i ruoli comici che per quelli drammatici da lui rivestiti nel corso della sua carriera.

Coppola in fondo è un archetipo, anzi il prototipo delle tante personalità del Cavina attore nelle produzioni dei fratelli Avati

 La Casa dalle Finestre che Ridono è sicuramente un importante film horror, in più contiene in nuce anche molti elementi neri ma è anche parecchio altro. Il film, che dopo la sua uscita si è lentamente ma inesorabilmente diventato un fenomeno di culto. Il perchè, perlomeno ai miei occhi, è semplice, la pellicola la rappresentazione di un  mondo chiuso, ci mostra un sistema circolare pochissimo o per niente poroso rispetto al mondo esterno, dove poco alla volta le radici del male escono allo scoperto. E queste radici escono allo scoperto nella maniera peggiore, con morti sospette, con la sparizione di alcuni e la scoperta di numerosi crimini del passato, alcuni più innominabili    quasi come un velo che si dipana in maniera inesorabile.

Si potrebbe parlare di tante altre cose, di quei piccoli dettagli avvenuti durante la lavorazione, di Capolicchio che all'epoca non sapeva guidare e che quindi durante le scene su veicoli a due o a quattro ruote dovesse essere trainato da un altro mezzo, di quando il Terremoto del Friuli venne avvertito anche a Comacchio dove la (piccola) troupe del film stava girando.

Si pootrebbe parlare anche delle varie location, dalla stessa Comacchio a Minerbio, dalla ferrarese Lido degli Scacchi sempre a Comacchio luogo della villa abitata da Stefano e Francesca, tuttora esistente sia pur in condizioni estremamente precarie. Su alcune di queste location i fratelli Avati sono tornati di recente durante la lavorazione de "Il Signor Diavolo", quasi a significare la ripresa di un discorso mai completamente abbandonato del tutto.

Quella che non esite più è proprio la "Casa dalle Finestre Dipinte",una casupola di campagna situato a Malalbergo in provincia di Bologna i cui sorrisi vennero realizzati espressamente per la pellicola. Pare sia andata distrutta da tempo.

Rimane però un film di pregio quale "La Casa dalle Finestre che Ridono", la testimonianza di modo di fare e di amare il Cinema che non solo non tramonta mai ma che ad ogni visione successiva conserva intatta la sua carica simbolica.

E che non ha ancora terminato il suo percorso.

Prima di concludere vi lascio con una importante parte speciale, un regalo che l'artista Emanuele Taglietti (che ringrazio di cuore) ha voluto fare a tutti i lettori di Nocturnia raccontandoci la genesi dell'Affresco del film (e tante altre immagini) da lui realizzato assieme al padre.

Buona Lettura.

BONUS CARD: IL RICORDO DI EMANUELE TAGLIETTI.

Mio padre Otello era un pittore decoratore che iniziò a lavorare come pittore di scena nel film Ossessione nel 1942. Divenne un pittore molto conosciuto nell'ambiente del cinema. Si trasferì a Roma dove rimase fino al 1964, anno in cui tornò a vivere a Ferrara per stare accanto a mia mamma, gravemente ammalata. Io invece rimasi a Roma dove iniziai a lavorare nel cinema come assistente scenografo, dopo essermi diplomato al Centro Sperimentale Di Cinematografia. Nel 1974 lascio il cinema per un nuovo lavoro: copertinista per la Edifumetto e contemporaneamente insegnante di pittura all'Istituto d'arte. Naturalmente, di tanto in tanto collaboravo con mio padre per lavori di decorazione e quadri soprattutto di soggetto religioso. Nell'estate del 1975 Pupi Avati commissiona a Otello un dipinto di circa cm 270 x 250, ad imitazione di un affresco. Trattandosi di un lavoro molto impegnativo, Avati suggerisce a Otello di farsi aiutare da me... e così fu. Oltre a diverse foto, la lettera di incarico conteneva le indicazioni del regista, dalle quali traspariva l'interesse e la preoccupazione per un elemento scenico importantissimo per il film. 

Cominciammo subito a preparare lo studio. Trattandosi del garage sotto casa, non potevamo lavorare su un pannello ligneo, perché lo "studio" aveva il soffitto troppo basso. Quel giorno ero impegnato con la scuola, perciò Otello da solo si occupo della preparazione. L'indomani sarebbe arrivato Avati ed io ero di nuovo impegnato con la scuola. Quando arrivò, aveva con sé altre foto che riguardavano altri quadri di piccole dimensioni, forse sei o sette che dovevano apparire dello stesso stile e rappresentare soggetti maschili, truccati in maniera molto effeminata. Lo stile doveva essere naif e molto personale. Ci alternavamo al lavoro, io andavo il pomeriggio e mano a mano che si progrediva, alzavamo la tela arrotolandola dall'alto.. Per dipingere usavamo i colori lavabili "Morgan" piccoli barattoli di circa 2 etti, veramente eccezionali.
 
L'Affresco de "Il Martirio di San Sebastiano"
 
Tra i quadri e la grande tela del San Sebastiano impiegammo circa due mesi di lavoro. Credo che Avati sia venuto ancora un paio di volte a Ferrara, poi presa fiducia, ci lascio lavorare con tranquillità. Terminato il lavoro, il tutto fu trasportato a Minerbio, paese del bolognese. Li vicino, in zona molto isolata si trovava la chiesa di San Giovanni in  Triario, dove ci aspettavano i macchinisti della troupe con un ispettore di produzione. La chiesa era aperta e nella prima cappella sulla destra era già stato predisposto un ripiano con appoggiato un grande pannello ligneo che avrebbe supportato il finto affresco. A quel punto io tornai a Ferrara, dove mi aspettava una lezione di disegno dal vero. Il resto del lavoro lo svolse Otello da solo. Tornai a Minerbio qualche giorno dopo, durante le riprese, e fui sorpreso dall'effetto muffa che Otello aveva creato. Imitava a perfezione la barbetta che fa il Salnitro sui muri intrisi di umidità. Aveva usato sapone da barba spray, spargendola su tutta la superfice col palmo della mano. Lasciata asciugare era abbastanza docile per il bisturi che il restauratore Capolicchio avrebbe tolto poco a poco.
 
San Giovanni in Triario oggi. Foto di Emanuele Taglietti.
 
Ricordo che questa non era la prima volta che Otello utilizzava questa tecnica. Nel film Giulietta degli Spiriti, dove io lavoravo come assistente di Piero Gherardi, vidi mio padre invecchiare una parete con questa tecnica. Dopo tanti anni, preso da curiosità tipica dell'età senile ho voluto rivedere quel luogo, rivivere quei ricordi. Lunedì di Pasqua sono tornato a Minerbio. Era una bellissima giornata e sul piazzale, in uno stand si friggevano delle deliziose Crescentine. Dopo 45 anni finalmente entro nella chiesa di San Giovanni in Triario a Minerbio. Ora all'interno della chiesa è allestito un museo della religiosità popolare, mentre all'epoca era piuttosto spoglia. Accompagnato da responsabile del museo, ho scattato alcune foto dell'interno e della cappella utilizzata per il film. La prima cappella a destra.
 

 
La cappella dell'affresco oggi. Foto di Emanuele Taglietti

 
San Giovanni in Triario oggi. Foto di Emanuele Taglietti

 
 
San Giovanni in Triario oggi. Foto di Emanuele Taglietti

 
 
 
Emanuele Taglietti ( Ferrara 1943) è pittore, scenografo, arredatore, illustratore, fumettista, copertinista. Ha prestato la sua opera nel Cinema lavorando con tutti i più grandi (nei primi anni assieme al padre Otello), tra gli altri cito: Elio Petri; Dino Risi; Ettore Scola; il già ricordato Pupi Avati e Federico Fellini ( per il quale ha curato la scenografia e l'arredamento in "Giulietta degli Spiriti" e il mai realizzato "Il Viaggio di G. Mastorna"). Per la Televisione ha lavorato per gli sceneggiati '"Odissea" (1968), al "Jekyll" di Albertazzi (1969) e  al "Marco Polo" (1982) di Giuliano Montaldo.
A partire dal 1973 ha lavorato anche nel campo del fumetto collaborando con la casa editrice Edilfumetto in particolare nel ruolo di copertinista, collaborazione durata fino all'anno 1988. Ha collaborato anche con Rizzoli e Mondadori.
Sarebbe però riduttivo limitare l'attività di Emanuele Taglietti a queste attività, Taglietti ha prestato il suo lavoro in numerosi campi: ha insegnato a più riprese e per più centri importanti pittura e decorazione, si è occupato di restauro di quadri antichi e molto altro.
Nel 2014 l'editore britannico Korero Press ha pubblicato un volume che raccoglie molte delle copertine realizzate da Taglietti.
 
 FINE.
 
 NOTE:
(1) Nella tomba che sarebbe dovuta essere del prete venne rinvenuto un cadavere femminile o comunque uno scheletro di quel sesso. L'evento traumatizzò un giovanissimo Pupi Avati.
 
LINK:
 
Inserisco alcuni link di blog che hanno trattato del film, se avete trattato anche voi l'argomento segnalatemelo nei commenti con i link del caso ed io inserirò volentieri anche il vostro post:
 
PIETRO SABA WORLD.

 

14 commenti:

Pietro Sabatelli ha detto...

Al di là di tutto un horror importante sì, fonte d'ispirazione latente ;)

Nick Parisi. ha detto...

@ Pietro Sabatelli
Verissimo! Ancora oggi un capolavoro.

l'angolo di cle ha detto...

Le rivelazioni di Taglietti circa le dinamiche della lavorazione del finto affresco, così come delle richieste di Avati sono ancor più che estremamente interessanti. Sono strepitose!
Altrettanto posso dire della tua analisi del film. Così particolareggiata che mi ha fatto sentire immersa completamente in quelle atmosfere. Mentalmente ho potuto rivedere ogni frame di quel lungometraggio così impattante.
Inoltre, penso anch'io che Avati abbia in qualche modo riallacciato il tema trattato in La Casa dalle Finestre che Ridono attraverso la successiva realizzazione di Il Signor Diavolo: le due pellicole si parlano senza dubbio.
Insomma, caro Nick, ho gustato ogni passaggio di questo articolo:
grazie di cuore!

Nick Parisi. ha detto...

@ l'angolo di cle
Come sai ho una vera e propria adorazione per il Cinema di genere italiano, specie di quello degli anni sessanta e settanta e Avati coi suoi primi film occupa un posto speciale nella mia personale classifica. Per quanto riguarda Taglietti con questo suo contributo ha fatto un grande regalo al sottoscritto e non finirò mai di ringraziarlo.
Ho amato molto anche" Il Signor Diavolo" anche se temo che la morte di Cavina possa bloccare i due ipotizzati seguiti.
Un abbraccio grande da presto.

Anonimo ha detto...

Ciao Nick. Il film non lo conoscevo e quindi non so cosa dire ma ho apprezzato tanto il ricordo di Taglietti e ti ringrazio tantissimo per questo. Volevo anche salutarti con il mio buon fine 25 Aprile. Abbraccio grande!

Pia ha detto...

Oooppsss... quella su sono io, perdonami Nick. Non so perché è uscito in anonimo. Ciao. Pia.

Nick Parisi. ha detto...

@ Pia
Nessun problema. A volte succede anche a me. Un abbraccio grande.

Pirkaf ha detto...

Tu pensa che questo film e Non si sevizia un paperino io li ho recuperati soltanto quest'anno, prima non li avevo mai visti, ed è incredibile come siano ancora attuali e coinvolgenti.

Nick Parisi. ha detto...

@ Pirkaf
" Non si sevizia un Paperino" è un altro dei miei kult e ne ho parlato un paio di anni fa. Non solo ancora attualissimi ma danni punti a tanti film recenti.

Mirtillo14 ha detto...

Io non ho mai visto questo film, ho letto con curiosità il tuo post , ho apprezzato ciò che hai scritto , spero di poter vedere anche il film , mi hai incuriosita. Saluti.

Nick Parisi. ha detto...

@ Mirtillo 14
Felice di averti incuriosita, tieni presente che si tratta di un film molto "tosto" con certi momenti non proprio per famiglia ma se tieni presente questi elementi vedrai che il film ti conquisterà.
Un grande saluto.

Caterina ha detto...

Non ho mai visto questo film ma devo ammettere che l'analisi approfondita che ne hai fatto ha suscitato la mia curiosità. Ho trovato molto interessante anche il racconto di Taglietti. Sicuramente è un film con scene molto forti, ma credo che è un film che non ti delude. Un caro saluto.

Caterina ha detto...

Avevo commentato questo post, ma ora vedo che il mio post non c’è più. Ho letto che molti hanno avuto questo problema con gli aggiornamenti. Comunque adesso ci riprovo. Con questo post hai suscitato la mia curiosità visto che non ho mai visto il film. Certo il film ha delle scene forti, però penso che sia un bel film. Apprezzo sempre le tue analisi dettagliate che permettono di avere un quadro chiaro dell’argomento anche quando quell’argomento non lo su conosce. Buona giornata, Nick.

Nick Parisi. ha detto...

@ Caterina
Sai che è successo anche a me con diversi commenti fatti sui vari blog? Compreso il tuo Mi sa. Temo dipenda dal nuovo modulo dei commenti di Google.
È una rottura di scatole e mi auguro che si risolva presto. Per fortuna che adesso ci sei riuscita e grazie per il tuo commento.

Ricordando il passato

Ricordando il passato
 
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...